domenica 30 maggio 2010

Ivan Basso e Vasco Pratolini vincono il Giro d’Italia

“Da sei mesi, fino all’altro ieri, sono stato in cura. Avevo dei disturbi, leggeri ma noiosi, soprattutto perché non si capiva di che si trattava. Non dipendeva dal cuore, non dipendeva dalla pressione, non dipendeva da nulla. E d’improvviso, è stata una folgorazione, la diagnosi è balzata davanti agli occhi con l’evidenza delle cose di natura. Ero ammalato di sedia e di scrittoio. Andar dietro al Giro è la medicina più sicura. Già al solo pensiero, mi è passato come d’incanto il mal di capo.”

Vasco Pratolini

giovedì 27 maggio 2010

Sull’impossibilità di leggere un quotidiano all’aperto seduto su una panchina di marmo bianco, il giorno che passa il Giro d’Italia, senza John Elkann

Il Giro d’Italia arriva a Brescia. Alle dieci del mattino trascinato dal non senso mi dirigo a piedi fino al traguardo, immaginando che so, d’incontrare Ivan Basso. Ma è un’idea priva di logica, il capitano della Liquigas è 180 Km più indietro, anzi, non è ancora partito. Nella zona dell’arrivo posizionano transenne, montano i palchi. Retrocedo verso il centro della città, compro il terzo quotidiano del giorno, Il Foglio, mi siedo su una panchina di marmo bianco, leggo. Temperatura ideale. Leggo: il mio amico Gurrado scrive di romanzoni e diritti umani, ma un braccio teso sbuca a pochi cm dal mio sguardo. Un rettangolo di carta prestampato. Una voce:
”Permesso di soggiorno, associazione per i permessi di soggiorni, ragazzi africani, sostenere”.
Francamente non capisco cosa mi viene chiesto, e mi difendo con un categorico:
”No grazie, sono a posto così”. Sono a posto così. Da presunto scrittore poi rifletto sulle risposte da dare a chi t’importuna per la strada. Quale la migliore? No grazie. No guarda. Dai davvero basta. Non insistere. Per favore. Sono a posto così (ripetuto per N numero di volte, una per ogni insistenza). Finisco Gurrado.

Leggo la posta. Frank Cimini sottolinea l’intervento di Roberto Mancini al processo di calciopoli. Sì, il Roberto con la sciarpa che, quando allenava l’Inter di Moratti, perdeva solo perché Moggi se la intendeva con gli arbitri. Quattro anni dopo il Mancio sostiene che sì, insomma, non voleva dire proprio quello, sono cose che scappano fuori a fine partita quando perdi. Ah. Cioè, non voleva intendere che...Ma come?? Te le rubava o non te le rubava le partite Luciano? Boh.
Frank Cimini dice la verità, ai giornali calciopoli non interessa più. Quelle chiacchiere del 2006 che, gestite in un’inchiesta a senso unico, servirono al Tribunale speciale creato da John Elkann e Guido Rossi per mandare la Juventus in serie B e falsare diversi campionati, adesso non interessano più. Tanto gli italiani sono degli storditi che buttano giù in un sorso solo le verità della televisione e dei grandi quotidiani nazionali, ai quali calciopoli non importa più. L’Inter colleziona vittorie, di cartone e non, e tutti sono contenti. Gli interisti non si pongono domande. Giuliano Ferrara risponde alla lettera di Frank Cimini che Il Foglio aveva avvertito che la palla è tonda e che l’inchiesta sul calcio truccato era una bischerata.

John Elkann. Da tifoso juventino quando lo vedo mi tocco sempre, più ancora di quando scorgo in lontananza Montezemolo. Al salone del Libro di Torino l’ho osservato da molto vicino il fratello di Lapo mentre parlava con Mario Calabresi, direttore della Stampa, e altri esperti chiamati a discutere del futuro della carta stampata. Cioè Calabresi parlava mentre John armeggiava con il Blackberry (o era un Iphone?) in continuazione, provocando un’interferenza continua nei microfoni. Si sentiva male. All’inizio gli altri relatori si guardavano per capire la causa dell'interferenza, poi quando hanno capito che era John hanno fatto finta di niente. Tutti hanno fatto finta di niente, mentre John pigiava i piccoli tasti. Il presidente della Fiat messaggiava come un matto, senza ascoltare il direttore del suo giornale. Taratt taratt. Taratatt taratatt. Poi toccava proprio a lui parlare, e John allora ha detto che a lui sì piace leggere, in particolare legge...La Stampa. Che è sua. Battuta di John. La claque del presidente si spancia dalle risate.

Riprendo la lettura del Foglio, ma giunge un venditore di rose. Non gli compro il fiore, e si mette a piagnucolare. Dio, che permaloso. Mi spiace, ma non voglio acquistarla. E’ un dramma. Fa finta di piangere per un paio di minuti. Leggo. Arriva un uomo con la barba di zucchero filato e un cappello bianco e si piazza davanti a me, non richiesto ombrellone che mi protegge da un pallido sole. L'ho già incontrato anni fa, è un poeta che vende i suoi versi ciclostilati per strada. Mi dice:
”Ciao, principino”.
No grazie, sono a posto così.

domenica 23 maggio 2010

Mio padre era interista

(Savio per Quasi Rete Gazzetta dello Sport)

Mio padre era interista. Altro che bellissimo, potrei dire, e si metterebbe a ridere. Ma credo tifasse più per il Brescia. La domenica andavamo in curva Nord al Rigamonti, con Rinaldo, un suo amico che poi non so che fine abbia fatto. Guerrino e Rinaldo, decisamente nomi che non si usano più.
La curva era il settore riservato al popolo, per usare un’espressione fuori moda, e non era ancora controllata da certe scimmie organizzate che oggi, in ogni stadio d’Italia, dettano legge con i loro comportamenti e slogan fascisti, ripetendo a macchinetta parole gonfie di retorica come Onore, Orgoglio, Tradizione ecc.
Stavamo in curva, il Brescia arrancava tra serie B e C, e io andavo alla partita più che altro per mangiare le caramelle quadrate di zucchero colorato che Guerrino mi comperava alla bancarella fuori dallo stadio. I giocatori erano troppo lontani e non capivo molto.

Ma dicevo, mio padre era anche interista. La casacca nerazzurra era pronta nell’armadio anche per me, ma mia sorella intervenne nel mio destino di tifoso con un colpo da maestra, e per questo la ringrazierò finché campo, perché la Juve è la Juve. Certo, qualcuno potrebbe giustamente obiettare che l’Inter è l’Inter, il Milan il Milan, la Sampdoria la Sampdoria. Non potrei contraddirlo. Se la Juve infatti fosse l’Inter, il Genoa l’Avellino, la Fiorentina il Napoli, non ci capirebbe più niente nessuno. Le trasmissioni sportive farebbero ascolti record annunciando solamente a fine programma quello che le squadre sono veramente.
“Rileggiamo la classifica: l’Inter vince il campionato con 82 punti ma…Attenzione: l’Inter quest’anno è il Torino, quindi il Torino vince lo scudetto!”
Nel capoluogo piemontese si ubriacherebbero di gianduiotti.

Mia sorella, dicevo, deviò il corso naturale delle cose. Grazie al suo folle amore per Antonio Cabrini, del quale aveva appeso in camera un poster fatto di fotografie ritagliate dai giornali. In sintesi il suo pensiero era: hai visto che bello Cabrini? Bello, bravo e gioca nella Juve. E qual è la squadra che vince sempre? La Juve. Quindi, ci misi del mio: notai che nella Juventus giocava con il numero 10 un campione rivoluzionario nel modo di muoversi, nell’eleganza, nell’intelligenza ironica delle dichiarazioni. Per tutte, una battuta fulminante. Prima di una partita importante l’avvocato Agnelli passa in rassegna i giocatori della Juventus. Michel Platini sta fumando una sigaretta e l’Avvocato lo riprende:
“Ma Platini insomma, queste sigarette…”
E Michel:
“Avvocato, l’importante è che non fumi Bonini…”

E va bene, dovevo parlare di Inter e la Juve invade il campo.
Mio padre era anche interista, e credo che per quello che è accaduto ieri sera sarebbe stato contento. Anche se il calcio è cambiato, l’Italia è cambiata, e l’isterismo antisportivo che acceca la maggioranza degli italiani forse gli avrebbe fatto passare la voglia si seguire lo sport nazionale. Suo fratello Franco, interista come lui, mi ha appena scritto che non ama più il calcio perché non gli piace una squadra italiana che schiera solo giocatori stranieri.

Oggi si celebra la vittoria dell’Inter, i due gol straordinari di un fuoriclasse come Diego Milito, signore argentino silenzioso incapace (a differenza del suo allenatore) di parole fuori luogo ed offensive nei confronti degli avversari. Si celebra Javier Zanetti, capitano indistruttibile, e il suo amico Cambiasso che solo un annebbiato Maradona può non convocare per i Mondiali.

Oggi da amante del gioco del calcio celebro l’Inter, non dimenticando ciò che ha permesso alla squadra di Moratti di diventare la squadra più forte d’Europa: una mezza farsa chiamata Calciopoli, miliardi spesi a pioggia senza alcun riguardo per il bilancio. Celebro l’Inter che ha vinto sul campo, anche con un po’ di fortuna, con episodi dubbi (Chelsea, Barcellona) che a parti inverse avrebbero fatto esplodere interismi alla Severgnini, avrebbero visto Mourinho invadere il campo, fare il segno delle manette, insultare allenatori, arbitri, giornalisti. Ma il tutto per cementare il gruppo, chiaro.

José Mourinho, allenatore geniale e affascinante, un Berlusconi della panchina, e mi fa sorridere osservare amici progressisti idolatrarlo per modi di fare così simili a quelli del Presidente del Consiglio che mi fermo a pensare: ma come, se ami uno dei due, non puoi non amarli entrambi.
L’Inter ha vinto la Champions League, Massimo Moratti ha coronato il sogno di ripetere l'impresa del padre Angelo che, come il mio, era interista.

venerdì 21 maggio 2010

lunedì 17 maggio 2010

Partite che spiegano popoli

(Savio per Quasi Rete Gazzetta dello Sport)
Ci sono partite che spiegano popoli.
Avevo corteggiato Vivian per mesi, alternando discutibili ma oneste composizioni poetiche a slanci telefonici di dubbia fattura. Fino a quando la più bella ragazza con una macchia sotto l’orecchio del mondo, aveva acconsentito. La sua agenda parlava di una casella libera il 29 giugno 2000. La sera della semifinale Olanda-Italia.
Il locale più frequentato della città, Vivian con maglione rosa, io in camicia bianca. Il suo volto più capelli che grazie al cielo copre solo una parte del prato sullo schermo. Del resto vedo tutto.
D’accordo che si gioca ad Amsterdam, ma la paura che avvolge la Nazionale allenata da Dino Zoff è decisamente fuori controllo. Per la precisione si tratta di undici Azzurri nel pieno di un attacco di panico collettivo. Difesa a oltranza e randellate inferte a qualsiasi cosa di arancione in movimento. Occasioni a ripetizione per gli uomini di Frank Rijkard. Due rigori assegnati all’Olanda: il primo parato, il secondo sul palo. Poi anche una traversa. Quando al trentatreesimo restiamo in dieci per l’espulsione di Zambrotta, è chiaro a tutti che non supereremo mai più la metà campo. Francesco Toldo si rivela qualcosa di più che un portiere, oggettivamente le prende tutte.
”Nell'atteggiamento dell'Italia” suggerisco alla splendida e spaesata Vivian “si riflette la capacità di soffrire di un popolo di migranti, e forse, diciamolo, anche un po’ di vigliaccheria. Per contro, semplificando, nelle folate olandesi ritrovo l’affascinante e coraggiosa leggerezza di chi vuole vincere, dimenticandosi che potrebbe anche perdere...”.
Vivian non mi ama, lo capisco da come non mi sente, da come preme convulsa i tasti del telefonino, non ascoltandomi, mai.
Gli Azzurri sono schierati con due linee tremanti e parallele a cavallo dell’area di rigore. Nel secondo tempo superiamo il cerchio di centrocampo una sola volta: Delvecchio ciabatta in modo ignobile un diagonale, e mentre la palla rantola rimbalzante a dieci metri dal palo destro di Van der Saar, esulto quasi avessimo segnato, salvo ricompormi immediatamente, schiacciato dalla vergogna.Scorgo negli occhi degli altri italiani un solo pensiero: se entrava questa, sai che ridere.
Toldo para tutto. Da perfetti assassini del calcio vinciamo 3-1 ai calci di rigore. Totti fa il cucchiaio alla Panenka. Vivian continua a non amarmi, ma siamo in finale. Me ne farò una ragione

venerdì 14 maggio 2010

Gli scrittori al Salone del Libro vestono il girocollo

Al Salone del Libro di Torino mi sono presentato con una camicia azzurra, ma dopo pochi minuti ho capito che avevo sbagliato tutto. La maggioranza degli scrittori quest’anno indossava una giacca leggera sopra una maglia girocollo (a maniche lunghe o corte non so).
Massimo Cacciari passeggiava lungo le corsie, più tradizionalmente abbigliato, fermato talvolta da studenti annoiati per una fotografia ricordo:
“Lei è Massimo Cacciari?”
“Sì, sono io Massimo Cacciari”.
“Ce la facciamo una foto insieme?”
“Va bene”. Clic.
Poi il filosofo tornava severo nel suo completo prevalentemente verde scuro, scrutando quarte di copertina, e incrociando il suo sguardo ho sentito che suggeriva:
“Lo stile è tutto, figliolo, in ogni cosa che fai”.
Ho pensato di chiedergli il perché del trionfo del girocollo al Salone 2010, ma perfino lui non ha saputo darmi una spiegazione.
Nell’overdose d’incontri con autori ed editori, ho notato che la quasi totalità degli scrittori allargava il collo della maglietta con le dita quando passava una bella donna travestita da sponsor di una Regione, o di un’azienda di telefonia. Io allentavo invece il colletto, e dialogavo con M.:
“Hai visto, quello non è Cacciari? A che starà pensando?”
“Starà pensando che la chiesa deve tornare al paradosso del Vangelo, deve portare finalmente la spada in questo mondo. Deve smetterla d’inseguire questo e quello, di parlare di federalismo e roba del genere, e tornare a predicare verbum. E poi a quella mora vestita di giallo, con gli occhi verdi e i denti più bianchi delle caramelle Polo”.
Il giubbotto di pelle che faceva l’altalena sulla tracolla della mia borsa grigia rettangolare, sembrava volermi ricordare che, ormai avrei dovuto saperlo, dentro al Lingotto fa spesso troppo caldo. In ogni caso però una camicia è sempre più bella di una maglietta. Se fa caldo e ti togli la giacca inoltre, resti in T-shirt, probabilmente pezzata, e questo non è bene per uno scrittore, ma anche in generale. Io amo la montagna in estate e quindi lo so, in camicia si suda sempre meno.

venerdì 7 maggio 2010

Il Foglio non parla di Ibra e Piqué

Il barista al mattino di solito non mi rivolge la parola. Nessun rancore tra noi. Semplicemente non sappiamo cosa dirci. Tende ad anticipare la mia ordinazione (caffè macchiato) mentre ancora sto facendo lo scontrino. Ma non sono un cliente abitudinario. L’80% delle volte, è vero, prendo il caffè macchiato, ma il restante 20% lo lascio libero per idee di cappuccino, o espresso. Se arrivo al banco con una richiesta altra rispetto al mio già pronto macchiato, si crea una frizione tra di noi.
Tengo sottobraccio Il Foglio.
Il barista mi rivolge la parola: “Posso dare un’occhiata?”
“Certo, ma è Il Foglio”.
“Ah, allora no”.
Mi chiedo quale notizia, evidentemente non presente sul Foglio, interessi al barista. Di solito lo sento discutere con gli altri avventori di calcio, di calcio, oppure di calcio.
L’arrivo di un possessore di “City” o “Leggo” risolve l’enigma.
“C’è la foto di Ibra che bacia Piqué?”
Certo che è grossa. Non se lo sarebbero aspettati. Ibra e Piqué che si fanno le coccole. Eppure la moglie di Zlatan è un pezzo di…Hanno pure due figli. L’Inter ha fatto bene a venderlo.
Di queste cose Il Foglio non parla. Non c’è nemmeno la fotografia.