giovedì 28 ottobre 2010

Sport Movies a Milano


domenica 31 ottobre - ore 17.30,
Milano, Piazza Mercanti, 2 - Palazzo Giureconsulti - Sala Colonne

Presentazione del video ufficiale del Campus Federale di Salice Terme sui valori del calcio nel Settore Giovanile e Scolastico e nell'Attività di Base F.I.G.C. C.R.L e tavola rotonda su “Etica, calcio giovanile e arbitri”.

Il video ufficiale è una produzione officina27: regia di Elise Cresson, storia originale di Francesco Savio.

Interverranno: Dott. Carlo Tavecchio, Dott. Felice Belloli, Prof. Giuseppe Righini, Prof. Giuseppe Terraneo, Dott. Paolo Casarin.

lunedì 25 ottobre 2010

Serie A: Bologna-Juventus (La famiglia Wapshot non può entrare allo stadio)

L’avvento delle telecamere negli spogliatoi ha svelato fondamentalmente una cosa: quelli dei padroni di casa sono sempre molto grandi e comodi, in alcuni casi (Milan e Inter) sembrano addirittura salotti, con poltrone disposte circolarmente che richiamano ipotetici luoghi letterari, dove gli allenatori al centro della stanza sono messi nella condizione ideale per raccontare ai loro ragazzi trame e personaggi del libro che hanno letto durante la settimana.
Quelli degli ospiti invece sono simili a sgabuzzini, talvolta senza finestre, spazi angusti che forse vogliono essere metafora, con la loro microscopicità, dell’antisportività ben radicata da diversi anni nel calcio italiano. Vieni a giocare a casa mia? Tanto per cominciare ti sbatto nello sgabuzzino, poi vediamo. O forse no, relegare gli avversari dentro spazi ridotti al minimo, è un escamotage per stimolarli a reagire sul campo alla claustrofobia subita sottoterra, con il solo intento di aumentare le probabilità di una partita spettacolare.

Quale che sia la verità, questa scelta contraddice anche un’altra credenza molto diffusa, ovvero che la Tv abbia allontanato gli appassionati dagli stadi e dall’amore per il calcio. Niente di più falso e anzi, nell’osservare i giocatori della Juventus pressati nella stanzetta del Dall’Ara, mi sono ricordato di certi spogliatoi gelidi frequentati da bambino e adolescente durante improbabili trasferte mattutine, anche se credo che quelli della Juve fossero almeno riscaldati. Il mezzo televisivo quindi mi ha trasmesso un’emozione che, se mi fossi recato alla stadio, si sarebbe certamente persa dentro noiosi ed invasivi controlli, tesi a sapere perché nascondessi un libro nello zaino:
Poliziotto numero 1: “E checce fai con sta famiglia Wapshot nello zaino??”
Poliziotto numero 2: “Anvedi oh, abbiamo trovato er poeta de Praga!”
Poliziotto numero 1: “Ah ah ah…ma chette porti i libri allo stadio??”
Io: “No , è che ero al parco a leggere e allora…”
Poliziotto numero 2: “E vabbè per stavolta passi, ma chimme dice che nun lanci er libro in testa a quarcuno??”
Io: “Certo, perché secondo lei io mi metto a lanciare nel vuoto il secondo romanzo di John Cheever, una delle poche cose che non ho ancora letto del grande scrittore americano, rischiando che Lo scandalo Wapshot non mi torni più indietro…”

La vostra folle stupidità, mi stupisce più del fatto che non abbiate fatto le stesse storie a quei bestioni con precedenti penali prima di me nella fila al tornello, che poi per incitare al tribale canto altri come loro, seguiranno la partita a torso nudo nonostante la pioggia dando le spalle al campo, cioè come si schierano gli steward in Inghilterra dove, stranamente, hanno risolto il problema della violenza senza alcuna Tessera del Tifoso.

Ma veniamo a Bologna-Juventus. Una squadra di vertice può permettersi un centravanti scarso, due però no. Questo mi è parso il principale problema della Juve di ieri, che se dotata di un numero 9 titolare scelto a caso tra le altre diciannove compagini della Serie A, probabilmente avrebbe portato a casa i te punti. Ma Del Neri al momento può scegliere tra un Amauri ormai fotocopia precisa a colori del primo Aristoteles della Longobarda banfiana, e un Iaquinta svogliato che, oltre ai soliti limiti tecnici sembra, dai suoi sguardi non particolarmente intelligenti, aver dimenticato il funzionamento di una regola tra le più importanti, quella del fuorigioco.
Quando Krasic si è buttato in area e l’arbitro ha fischiato il calcio di rigore, il buon Vincenzone ha tolto la palla a Felipe Melo pensando di sbloccarsi. “Tiro io” gli ha detto. Per sfortuna dei tifosi juventini l’ha fatto davvero, estraendo dal cilindro il suo classico piattone quasi centrale che l’ottimo Viviano ha parato senza difficoltà. Giusto così, perché il rigore non c’era, e una vittoria ottenuta in quel modo avrebbe generato polemiche infinite, con probabili dubbi da parte di Massimo Moratti riguardanti la presenza di Luciano Moggi dietro ogni decisione sbagliata di un arbitro, in Italia e nel mondo.

Per qualche minuto il Bologna ha comunque reagito rabbiosamente all’ingiustizia subita, senza tuttavia impensierire Storari. Nel secondo tempo la Juventus ha mantenuto una supremazia sterile, resa appena più fertile dall’ingresso di Del Piero al posto di un Krasic divorato dal senso di colpa manco fosse Kafka e dai buu del pubblico bolognese, e di un Martinez che ha fatto intravedere qualcosa delle sue potenzialità, valutate in estate dodici milioni di euro.

Il libro di John Cheever com’era prevedibile non l’ho utilizzato come corpo contundente, ho usato invece una matita per fare cerchi intorno ai nomi dei personaggi principali de Lo scandalo Wapshot, perché leggere e guardare una partita contemporaneamente porta a perdere il filo della storia. Il migliore in campo, a mio insindacabile giudizio, è stato Emiliano Viviano, bravissimo già ai tempi del Brescia, inseguito da un curioso destino sportivo che lo vuole da sempre acceso tifoso fiorentino, di proprietà dell’Inter, e salvatore del Bologna.

mercoledì 20 ottobre 2010

Serie A: Milan-Chievo (Thoreau non basta al Céo)


Le cose che mi distinguono da Pirlo sono molte, ma le più evidenti sono di natura tecnica ed economica. Restando a quelle sul campo, mi ha sempre affascinato il coraggio di Andrea nel farsi dare palla al limite della propria area, pur sapendo di essere braccato dal centrocampista avversario, incaricato a contrastare sul nascere il generatore principale della manovra rossonera. Io invece da ragazzo, specie nei momenti cruciali di una partita, tendevo a nascondermi. Se portavo il 7 dietro il 3, se indossavo il 9 o il 10 vicino al 5 o all’8.
Pirlo no: si fa dare palla, la protegge come pochi altri al mondo utilizzando veroniche e altre rotazioni intorno al proprio asse (che gli sono state fornite in dotazione probabilmente da Dio) quindi la passa ai compagni, inventando traiettorie che sovente destano stupore negli appassionati.
Per sua fortuna, uno dei destinatari di questi suggerimenti si chiama Ibrahimovic, il quale a sua volte eccelle non solo nel segnare, ma anche nel mandare in porta Pato con cross calibrati, o rapide furbizie partenti da innocui calci di punizione.

Allo scadere del primo tempo, mentre il telecronista ricordava che, con la doppietta appena realizzata, il ventunenne “papero” brasiliano aveva raggiunto quota 40 gol in 81 presenze di serie A, i giocatori del Chievo si auguravano che il loro allenatore desse loro una confortante spiegazione su come fosse stato possibile giocare bene e ritrovarsi sotto due a zero, senza meritarlo. Pioli li avrebbe tranquillizzati, incitandoli tuttavia ad essere più precisi davanti ad Abbiati, peraltro in grande forma, prima di decidere per il doppio cambio Fernandes-Bentivoglio Thereau-Granoche.

Cambiando una vocale, ho pensato: “ecco dov’era finito…”
E poi che Henry David Thoreau, dopo due anni trascorsi isolato nei boschi di Walden, non avrebbe potuto scegliere che il Chievo per il suo esordio nel campionato italiano. Il filosofo e scrittore americano, nato a Concord nel 1817, si è presentato con un bel tiro da fuori, un colpo di testa in mischia, diversi scatti e tagli intelligenti. Ma al Céo questo non è bastato per pareggiare e anzi, dopo l’autogol di schiena di Ibra, i mussi hanno preso pure il terzo da Robinho, fino a quel momento comparabile al collega di maggior talento ma svogliato durante la partitella aziendale Scapoli-Ammogliati del giovedì.

Al termine di Milan-Chievo, mi sono chiesto se Andrea Pirlo fosse un consumatore abituale di pirlo (vino bianco frizzante, bitter, acqua di selz). Mi sono risposto di no, dandomi addirittura una spiegazione. Pirlo non beve il pirlo, perché vive ogni giorno un sogno realizzato, direi da circa 31 anni. Il consumatore il pirlo invece, cerca sensazioni piacevoli attraverso un bicchiere o più, non solo per la bontà dell’aperitivo, ma anche per rendere reali (almeno nello stato di ebbrezza) certi sogni nascosti che ormai per abitudine preferisce dimenticare.
Poi ho pensato a Thoreau, che la prima estate a Walden non lesse e scrisse nulla, ma zappò fagioli.

venerdì 15 ottobre 2010

Italia-Serbia (Matteo, Bianciardi, e un piccolo scrittore che non riesce a lavorare in libreria)

Non mi vengano a raccontare che tutti i pomeriggi della settimana sono uguali. Per quanto mi riguarda, il martedì significa andare a giocare a calcio con Matteo, dieci anni. L’appuntamento si ripete ormai da quattro anni, così ho avuto modo di osservare i miglioramenti del ragazzo, e pure la fermezza della sua fede milanista, che non sono riuscito a scalfire neppure facendogli prendere a calci talvolta un pallone della Juventus.
“Hai visto come rotola bene? Dipende dal bianco e dal nero che, mischiandosi nella rotazione sferica, disegnano sfumature di pentagoni che, oggettivamente, emozionano più dell’abbinamento cromatico rosso e nero. Non trovi? Perché non passi alla Juve?”
Niente da fare.

Il martedì andiamo al parco a giocare a calcio, e questo mi consente di aggiungere qualcosa al mio basso stipendio di libraio, anzi no, perché libraio non sono mai stato, e libraio non riesco a diventare, nonostante lavori in una libreria, dove però faccio il magazziniere, ma non di libri. Mi sono sempre infatti occupato di musica, in passato e con soddisfazione mettendo a disposizione le mie conoscenze musicali per ordinare i dischi migliori, da 17 mesi invece confinato inspiegabilmente in magazzino dove qualche volta, mi scopro a pensare: ma la logica non dovrebbe consigliare di darmi almeno una possibilità? Vuoi vedere che questo bravo ragazzo, che non ha mai dato problemi in dieci anni di carriera, essendo anche un piccolo scrittore, magari potrebbe essere pure un bravo libraio? Forse no, meglio non rischiare. Meglio farlo stare in magazzino, a mettere i cd e i dvd nelle custodie trasparenti, in piedi per sei ore consecutive nello stesso punto, dove quel Savio osserva sul muro di fronte una piccola fotografia di Luciano Bianciardi che ha attaccato come una figurina. Sostengono alcuni che ci parli pure con questa fotografia, ma non ci sono riscontri scientifici di botta e risposta tra l’autore de “La vita agra” e il magazziniere nato a Brescia.

Uno degli aspetti più sconfortanti di Milano è la difficoltà di trovare un pezzo di prato dover poter giocare a pallone gratuitamente. Da illusi poi la speranza di avere anche porte regolamentari, provviste addirittura di reti. Quindi con Matteo si va ai giardini di Porta Venezia (dominati però dalla presenza massiccia di cacche canine, non essendoci misteriosamente un’area recintata per quadrupedi) o ai giardini di Palestro, molto più belli e puliti (vietato l’accesso ai cani) ma sovente invasi da comitive di piccoli con madri e feste di compleanno che occupano i potenziali spazi di gioco.

Due zaini come porta e via, con Matteo giochiamo in anticipo le partite del fine settimana, sfidiamo altri bambini o mezzi adulti di passaggio, calciamo cinque rigori per uno e vediamo chi vince, rimpiccioliamo la porta e cerchiamo di centrarla da distanze siderali, scommettendo anche forte:
“Se faccio gol da qui in fondo, decentrato, il Milan vince la Champions, la Juve il campionato e l’Inter va in B per le telefonate di Facchetti…”
Gol.

Martedì sono tornato a casa stremato, pronto a sedermi sul divano per assistere a Italia-Serbia, partita che prometteva bellezza. Stankovic e Krasic contro Bukowski-Cassano e il bel Pazzini. Ma quando ho notato quello scimpanzé tatuato con passamontagna a cavalcioni sulla parete di plexiglas tagliare le reti di protezione con un tronchesino arancione per lanciare meglio i fumogeni in campo, ho capito che la cosa sarebbe andata per le lunghe. Ho sperato che insieme ai poveri poliziotti, chiamati ad arginare una situazione pericolosa che poteva precipitare in tragedia, arrivasse pure il jazzista Bobo Maroni, magari per spiegare i vantaggi della Tessera del Tifoso agli ultras serbi. Poi, durante gli inni nazionali, i fischi a quello serbo e l’emozionate canto di quello italiano (che mi ha fatto venire, come sempre, la pelle d’oca) mi hanno fatto temere una dichiarazione di guerra dell’Italia alla Serbia, firmata da Ignazio La Russa. Quindi hanno provato a giocare. Un difensore serbo ha cercato di troncare la carriera a Stefano Mauri con un’entrata da killer, per fortuna senza riuscirci. L’arbitro, comprensibilmente preoccupato e confuso, è riuscito a non vedere un rigore clamoroso su Pazzini, spinto con due braccia sulla schiena mentre era già in volo per colpire di testa. All’ennesimo lancio di fumogeni e bengala in campo, l’incontro è stato sospeso. Viviano ha detto che lui nella porta sotto quei matti non ci sarebbe più andato. Ma chi si ostina ad amare il calcio per quel meraviglioso spettacolo che è, come Rivera e Donadoni ad esempio, aveva già abbandonato lo stadio da un po’.

venerdì 8 ottobre 2010

Serie A: Inter-Juventus (Milos Krasic sta a Pavel Nedved come John Barth sta a Sheherazade)

John Barth nasce il 27 maggio del 1930 a Cambridge, nel Maryland, insieme a una sorella gemella, Jill: circostanza tutt’altro che trascurabile nella carriera dello scrittore, se è vero che in più di una sua opera si fa allusione a coppie di gemelli, e che i suoi libri, a quanto sostiene, tendono per un certo periodo a susseguirsi in coppie affini…”
Inizia così la vita dello scrittore secondo il profilo bio-bibliografico che potete trovare nei libri stampati in Italia da Minimum Fax, nella collana Classics, che comprende anche Richard Yates e Bernard Malamud, ovvero due tra i miei scrittori preferiti.

Da qualche anno sono solito trascorrere le ferie estive in montagna. Tra lunghe passeggiate e gustose soste in malghe dove mi sacrifico a mangiare stupefacenti cotolette viennesi con patate al forno all’erba cipollina, o doppie uova appoggiate sopra un letto di caldo speck, trovo pure il tempo di leggere ottimi libri e tre quotidiani al giorno, uno di questi sportivo. Come ogni appassionato, apprendo di colpi di mercato imminenti o saltati, confronto le potenzialità della mia squadra con quelle delle altre e, nei momenti di regressione all’infanzia più acuti, arrivo a compilare foglietti con probabili formazioni tipo. Quando penso che sto esagerando, mi consolo ricordando che Fabrizio De André faceva lo stesso con il suo Genoa.

Milos Krasic mi veniva di metterlo sempre a centrocampo sulla sinistra con il numero 11 nelle mie formazioni, nonostante la predilezione dell’ala serba per la corsia opposta. Chiaro, seppur inconscio, il mio intento: costruire una Juve che puntasse su somiglianze estetiche decise (Krasic/Nedved) a certe forti compagini bianconere del recente passato. L’insistenza con cui Krasic pretendeva la Juve a tutti i costi tuttavia mi lasciava perplesso, specie nella fase digestiva altoatesina. Chi mi poteva assicurare che dietro questo desiderio ossessivo non si nascondessero le velleità di un buon giocatore di fronte all’occasione della vita?
Scacciavo questi turbamenti con il caffè.

Le prime giornate hanno superato le previsioni di molti sedicenti “esperti”: l’impatto di Krasic sul campionato italiano è stato di quelli che si fanno notare. Sono andato a riprendere i miei foglietti estivi e ho spostato Milos sulla destra. Ho visto il biondino sfrecciare palla al piede con difensori al seguito incapaci di raggiungerlo e mi sono detto: “Perbacco, vuoi vedere che questo è un potenziale campione e io non lo sapevo?” Ho sentito Massimo Mauro dire cose banalmente provocatorie come al solito, ad esempio che Krasic non “vedesse” la porta (appena prima che il nazionale serbo realizzasse una tripletta), e ho pensato immediatamente che la Juventus allora aveva davvero centrato un bell’acquisto.

“Non sono un esperto di letteratura o di filosofia”, dichiara in uno dei suoi saggi John Barth, “ma un semplice narratore di storie. Ovvero, un bugiardo professionista. E nel corso degli anni ho sviluppato una vera e propria ossessione per la più leggendaria di tutte le narratrici, Sheherazade, che torna come personaggio in più d’uno dei miei libri”.

Mi sono convinto che Pavel Nedved rappresenti per Milos Krasic quello che Sheherazade per John Barth. Ho pensato ad un nuovo libro dello scrittore americano, capace di raccontare meglio di me come certe somiglianze si ripetano nel tempo e perché, già che c’è, alcuni volti risultino famigliari già dalla prima volta, e certe piacevoli intese con sconosciuti scattino senza difficoltà dopo pochi minuti trascorsi a parlare.

Siamo arrivati così a Inter-Juventus. Una partita non bella, anche se ne ho viste di peggio, dove la cosa migliore è stato il comportamento dei giocatori, combattivo ma senza isterismi. Qualche maligno ha fatto notare come le contemporanee assenze di Mourinho, Materazzi e Massimo Moratti abbiano contribuito al ritorno ad una normale rivalità sportiva tra bianconeri e nerazzurri. Ma non avremo mai la controprova. Di certo c’è che l’Inter di quest’anno ha un nuovo allenatore, simpatico e dotato di maggiore sportività del portoghese, ma meno bravo (per ora) di Mourinho nello stimolare una squadra sulla carta più forte dell’avversario.
Il pallone che rotola però di carta e foglietti estivi se ne frega, quindi Inter-Juventus è terminata 0-0.

In panchina Rafa Benitez si è grattato la testa, pensando che un Kuyt gli avrebbe fatto comodo, considerando il Milito che gli è capitato. Gigi Del Neri, beccato più di una volta dalle telecamere sbirciare il libro di John Barth che nscondeva nella tasca della giacca, ha poi precisato in sala stampa che, se ognuno deve “stare” per forza a qualcos’altro, se Krasic si è messo in testa l’idea di essere il sequel di Pavel Nedved, allora a lui, da buon friulano, non dispiacerebbe raggiungere i risultati della Juve di Fabio Capello.

domenica 3 ottobre 2010

Mia moglie e Roger Federer come esperienza religiosa


I vantaggi di avere una moglie che lavora in libreria sono molteplici. Se si ama leggere, ovviamente. Se si preferisce invece che so, collezionare statuine del presepio, consiglio vivamente di chiedere la mano della proprietaria di un negozio storico del centro di Milano, famoso per la varietà di presepi, e anche per il fatto di avere sul pavimento una botola dalla quale, nel dicembre scorso, è sbucata una signora anziana che mi ha fatto quasi spaventare, sorgendo ai miei piedi, e poi alle mie ginocchia, ma qui lo spavento è rientrato, perché ho capito di cosa si trattava.
Tornando a noi, mia moglie lavora in libreria, e ogni fine settimana mi consiglia libri che potrebbero fare al caso mio. Spesso allontano queste sue indicazioni con educato diniego: “Grazie, interessante, ma sai sono già pieno di libri da leggere...”
Capita poi che, anche mesi dopo, io le dica entusiasta il titolo del bel libro che sto leggendo e lei sbuffi: “Ma certo, te ne avevo parlato!”
Secondo me però non è sempre vero.
L’altro giorno mia moglie mi ha regalato “Roger Federer come esperienza religiosa” di David Foster Wallace. E’ furba mia moglie, sa quanto amo gli scrittori che parlano di sport. Mia moglie sa anche quanto mi piacerebbe scrivere di sport su un quotidiano, ma è pure a conoscenza del fatto che non conosciamo nessuno in grado di raccomandarmi e che, per sfortuna, nessuno di noi due è figlio di un giornalista. Questo faciliterebbe molto il mio esordio sulla carta stampata. Basta sfogliare i giornali per scovare cognomi che si ripetono, dinastie di penna che talvolta cambiano testata per dare meno nell’occhio. Come figlio di materassaio avrei potuto essere un bravo materassaio, anche se non è detto perché ci vuole talento, e ogni tanto rimpiango di non aver continuato il lavoro paterno, ma giornalista no. Adesso che ho iniziato a fare qualche presentazione per il mio libro, dalla prossima diciamo, penso che chiederò ogni volta se c’è qualcuno tra gli spettatori in grado di raccomandarmi. Funziona così, ma insomma anche se morirò senza scrivere su un quotidiano me ne farò una ragione.
Gli scrittori che parlano di sport, dicevo. Nel 2006, il New York Times invia in Inghilterra un corrispondente d'eccezione, David Foster Wallace. Ne viene fuori questo saggio narrativo pubblicato in Italia da Casagrande, raffinato editore di Bellinzona, quindi svizzero come Roger Federer.
E’ un libricino maestoso, che parla della bellezza religiosa di un campione straordinario e del tennis, ma è come se parlasse del rapporto casuale o studiato che intercorre tra gli uomini e qualcos’altro, magari una divinità.
Trascrivo un brano dai, così si capisce che non dico bugie.
“L’obiettivo dei giochi di competizione non è la produzione di bellezza, ma qualsiasi sport praticato ad alto livello diventa una sede privilegiata per l’espressione della bellezza umana. Il rapporto è più o meno lo stesso che intercorre tra coraggio e guerra.
La bellezza umana di cui stiamo parlando è un tipo particolare di bellezza; potremmo definirla bellezza cinetica. L’attrazione e il fascino che esercita sono universali. Non ha niente a che vedere con il sesso e con le norme culturali. Semmai, sembra essere strettamente legata alla possibilità per un essere umano di riconciliarsi con il fatto di avere un corpo.
Ovvio, negli sport maschili nessuno parla mai della bellezza, della grazia, o del corpo.
Gli uomini possono professare il loro amore per uno sport, ma questo amore deve essere espresso e rappresentato nella simbologia della guerra: eliminazione e avanzamento, gerarchie di rango e posizione, statistiche maniacali, analisi tecniche, fervore tribale e/o nazionalistico, uniformi, frastuono collettivo, bandiere, petti percossi, facce dipinte, ecc. Per ragioni che non sono totalmente chiare, molti di noi trovano i codici della guerra più sicuri di quelli dell’amore.”

(David Foster Wallace)
Per concludere, un “Momento Federer”.