martedì 25 gennaio 2011

Il posticipo: Palermo-Brescia (Anatomia di Javier)


L’ultimo romanzo di Javier Cercas, racconta il tentativo di colpo di stato del 23 febbraio 1981 in Spagna. L’istante in cui il colonnello Tejero entra armi in pugno nel parlamento di Madrid viene interpretato da punti d’osservazione differenti, con particolare attenzione al comportamento di tre uomini: il primo ministro Adolfo Suarez, il tenente generale Gutierrez Mellado e il segretario del partito comunista Santiago Carillo, gli unici parlamentari che, mentre le pallottole dei golpisti tagliano l’aria, non cercano riparo sotto i banchi dell’emiciclo, ma restano seduti ai loro posti.

Sorvolando su come risponderebbero i deputati italiani di oggi nel caso in cui un colonnello Basettoni entrasse a colpi di fucile nell’aula di Montecitorio (probabilmente oltre che nascondersi scaverebbero buche, o forse no perché al suo arrivo il Basettoni golpista troverebbe la Camera vuota: tutti alla buvette, oppure nei bagni a strisciare e a darsi da fare con qualche escort minorenne)…Ecco, anche sorvolando su tutto questo, l’istante magistralmente interpretato da Cercas non deve aver lasciato indifferente neppure il talentuoso trequartista Pastore, Javier come il romanziere catalano, beccato dalle telecamere nello spogliatoio a sottolineare con la matita alcuni passaggi narrativi considerevoli di “Anatomia di un istante”, guarda caso gli stessi che di lì a poco avrebbe cercato di riprodurre sul prato del “Renzo Barbera”.

Lasciare il racconto di Cercas non era stato facile per Pastore, che controvoglia aveva obbedito
al suo allenatore Delio Rossi:
“Flaco, dai che inizia la partita, finisci dopo!”
E allora il laccio di una scarpa per tenere il segno a pagina 172, via la tuta rosanero e in campo, a volteggiare come un ballerino, col medesimo portamento che aveva incantato due anni fa anche l’autore di questo inutile pezzo.
Era una domenica sera, e nella convinzione che guardare a ripetizione partite del campionato argentino mi avrebbe permesso di capire meglio l’opera di Julio Cortazar, Antonio Di Bendetto e Bioy Casares, ero invece rimasto folgorato dal talento del Magro, come lo chiamavano in patria, tanto che avevo desiderato essere un osservatore spedito in Sudamerica per segnalarlo a qualche squadra del nostro campionato. Qualche mese dopo Pastore sarebbe finito al Palermo per sei milioni di euro, circa un quinto del suo attuale valore di mercato.

In ogni caso sabato sera El Flaco, parzialmente irritato dalla coatta interruzione della lettura di “Anatomia di un istante”, si è accontentato di regalare agli appassionati di calcio solo qualche passo di ordinaria amministrazione, fatta eccezione per una serpentina con palla incollata al piede nell’area di rigore del Brescia, tra lo stupore-terrore dei difensori con la V bianca sul petto, capaci di fermarlo solamente sgambettandolo, peraltro senza che l’arbitro se ne accorgesse.

La partita non sarebbe stata decisa nemmeno da lui, ma da Bovo, centrale del Palermo specialista dei calci piazzati, a quattro minuti dal termine. Una vittoria sofferta, ottenuta con grande merito dai palermitani che per tutti i novanta minuti avevano cercato di fare breccia nell’antistorica e masochista muraglia cinese eretta da Mario Beretta, tecnico delle rondinelle, a difesa della porta di Arcari. Venticinque tiri contro quattro, diciannove calci d’angolo contro uno. Statistiche che non lasciano spazio a rimpianti.
Poi per Javier una doccia veloce, le consuete interviste ripiene di paragoni con Zinedine Zidane. Quindi finalmente a casa, sul divano con una coperta sulle gambe, a studiare il perché di comportamenti altrui e decisioni umane da prendere in un istante: nascondersi, o restare seduti?

mercoledì 19 gennaio 2011

Il posticipo: Juventus-Bari (La schiena di Parker, e quella di Buffon)


“Finché non aveva visto l’uomo della fiera, non gli era mai venuto in
in mente che ci fosse qualcosa di straordinario, nel fatto di esistere”
Flannery O’Connor

In uno dei racconti più belli di Flannery O’Connor, un uomo decide di farsi tatuare il volto di Cristo sulla schiena. Era l’ultimo di una lunga serie di tatuaggi che Obadiah Elihue Parker si era fatto, nel corso degli anni, per emulare “l’uomo della fiera” di paese, che aveva visto a quattordici anni, quando per la prima volta aveva provato un moto di stupore per se stesso. Sulla schiena, perché quella era l’ultima superficie libera del suo corpo, quasi interamente disegnato. Si era deciso dopo essere sopravvissuto ad un fiammeggiante incidente di lavoro. Lo aveva fatto anche per la brutta moglie, bigotta e ossessionata dal peccato, e decisamente poco incline all’amore per i tatuaggi.
Ma Sarah, pur guardando il Cristo bizantino dagli occhi divoranti con la luce accesa, non l’aveva visto. A Parker si erano svuotate le ginocchia. Poi la moglie aveva cominciato a picchiarlo con una scopa sulla schiena, con O.E. troppo sbalordito per resistere, ma non per dirigersi oltre la porta per evitare di svenire, verso il giardino, prima di finire appoggiato al noce americano, in lacrime come un bambino.

Il doloroso finale alberato di O.E. Parker, mi è tornato alla mente capovolto quando ho visto, giovedì scorso, sbucare dal tunnel degli spogliatoi dello stadio Olimpico di Torino Gianluigi Buffon, serio e luminoso, dopo sette mesi di lontananza dai campi per problemi alla schiena. Si trattava degli ottavi di finale di Coppa Italia, Juventus-Catania.
Qualche giorno dopo, mi sono chiesto se il portiere della Nazionale si fosse per caso fatto tatuare Cristo da qualche parte durante questa mancanza, ma ho convenuto che Gigi fosse più un tipo da Madonna. Almeno lo sguardo di quel giovedì sera era quello, di uno che ha visto la Madonna intendo, lo stesso che ultimamente accompagna anche me durante certe passeggiate per Milano. Ultimamente, io e la Madonna.
Passeggio solitario, e penso che la bellezza della Madonna è fuori discussione. Anche oltre ogni rappresentazione iconografica, tanto per tranquillizzare la moglie Sarah Ruth che nel Gesù divorante del marito Parker scorgeva solamente idolatria, e la conseguente necessità di farlo sanguinare a colpi di scopa. Pure oltre ogni rappresentazione iconografica, la Madonna è proprio bella, pensavo, di una bellezza che poi uno sceglie tra quella della propria madre o moglie, di una donna incontrata per caso in corso Magenta, o di Charlotte Gainsbourg in certi film. Charlotte che bella poi non è, certo mai come la madre Jane Birkin. Charlotte che è Madonna storta di viso e orecchie, ma non fa niente, a me piace lo stesso.

Domenica invece niente camminata, piuttosto otto ore lavorative nel mio oramai consueto quanto inspiegabile (e soprattutto inspiegato, da chi dovrebbe spiegamelo) esclusivo ruolo di cassiere, ultimo gradino di un declassamento professionale privo di ragioni meritocratiche. Pazienza. Ma seppur in cassa, ho fatto in tempo a spiegare ad un cliente la differenza tra due Mari. Michele, bravissimo scrittore tra i miei preferiti, e Alessandro, autore di “Troppo umana speranza”, inconsueto e promettente romanzo sulla giovinezza del corpo, della mente e di una nazione.

Poi, onestamente, nei rari momenti di quiete alternativi ai bip, ogni tanto prelevavo di nascosto il mio BlackBerry dalla tasca dei pantaloni, per seguire la partite. Juventus-Bari, ad esempio.
Dopo la punizione capolavoro di Del Piero e il pareggio di tale Rudolf, la Juventus faticava a ritornare in vantaggio. Deducevo dalla striminzita cronaca di un sito sportivo che le idee di gioco tra i bianconeri latitavano:
64’ Aquilani: tiro di sinistro da centro area, di poco a lato sulla sinistra.
73’ Aquilani: tiro di destro da fuori area, respinto.
77’ Aquilani: tiro di destro da fuori area che esce di molto sulla sinistra.


In attesa di più fantasiose varianti offensive, immaginavo il triste ritorno a casa del più forte portiere del mondo, raro esemplare di calciatore odierno senza tatuaggi. La moglie Seredova arrabbiata ad aspettarlo (con scopa in mano?):
“Gigi, con l’ultima in classifica in casa bisogna vincere!”

79’ Gol! Alberto Aquilani (Juventus) un tiro di destro da fuori area palla indirizzata nell’angolino in basso a destra in seguito a un calcio da fermo. Juventus 2 Bari 1.

La schiena di Parker, e quella di Buffon. Cristo e la Madonna, e poi due Mari.

martedì 11 gennaio 2011

Il posticipo: Napoli-Juventus (Il nuotatore Edinson Cavani)



Ormai nove anni fa, vidi per la prima volta Napoli. Ero in compagnia di un amico, ancora vivo anche lui.
Travolto emotivamente da quella città del sud che, come altre (Lisbona, Barcellona, Roma) mi facevano pensare di provenire in qualche modo da lì, con chiaro riferimento alla dottrina induista della trasmigrazione dell’anima, un pomeriggio mi separai da Giampiero, per inoltrarmi solitario lungo le strade di Totò, Diego Maradona e Massimo Troisi.
Di fronte all’università, una piazzetta era lo scenario abitato da una piccola libreria che invece dei sacchetti di plastica dava delle buste di carta marrone per metterci dentro i libri, come fossero pane. Comprato “Il nuotatore”, di John Cheever, mi ero seduto su un muretto a leggerlo, e mentre il protagonista si tuffava e riemergeva dalle piscine delle ville a quindici chilometri da Bullet Park, dei bambini si sfidavano a pallone in uno spazio di cemento minimo, circondati da automobili che facevano da spalti.
A differenza di quello che mi avevano insegnato da ragazzino, ogni tanto tiravano delle bombe contro le portiere e i cofani, e questa loro insubordinazione nei confronti di leggi che consideravo universali, li rendeva affascinanti e tutto sommato divertenti, soprattutto perché non ero uno dei proprietari delle macchine.
Nuotavo con John Cheever, scoprendo uno degli scrittori più straordinari mai conosciuti, prima di ritrovarmi, dopo una discreta camminata, seduto su alcune pietre lanciate perpendicolarmente al lungomare verso il vuoto blu.
Qui, mi ero sorpreso dopo qualche tempo a scrivere una poesia. Aveva a che fare con bottiglie rotte da ragazzi ubriachi e scagliate in mare, con un berretto di vari azzurri, e con il timore che qualcuno mi rubasse il quaderno dove scrivevo le poesie.

Rileggendo “Il nuotatore"” a distanza di dieci anni, ho notato che non ha perso niente della sua breve perfezione. Ho pensato di chiamare Giampiero per dirglielo, l’ho trovato d’accordo.
Deve aver pensato lo stesso Edinson Cavani quando, al nono del secondo tempo, si è tuffato in mare per colpire il pallone e indirizzarlo per la terza volta alle spalle di Marco Storari. Di testa, o forse di tacco. Napoli 3, Juventus (post 2006) 0.

Allo fine tutto lo stadio si è messo a cantare la vita del soldato innamorato, e anche attraverso il teleschermo, sentivo la medesima pelle d’oca che avrei certamente provato stando al S. Paolo perché, per un misterioso motivo probabilmente legato di nuovo alla dottrina della trasmigrazione dell’anima, la canzone del soldato innamorato mi ha sempre fatto venire la pelle d’oca in condizioni normali, figuriamoci cantata dai sessantamila del S. Paolo.

Nel dopo gara, il presidente De Laurentis non ha rilasciato dichiarazioni sul nuotatore di Cheever, ma ha ritenuto doveroso precisare che lo scudetto comunque lo vincerà il Milan, perché Berlusconi farà di tutto per ottenerlo, anche influenzare gli arbitri nelle decisioni riguardanti il convalidamento di reti in fuorigioco fatte passare per regolari.
Questa affermazione, ricordando certe telefonate del 2006 tra “addetti agli arbitri” rossoneri e guardalinee, e altri carteggi cellulari scoperti (chissà come mai solo da pochi mesi) tra i santi Moratti e Facchetti e i designatori di quel tempo, mi ha per un attimo intristito.
Vuoi vedere che i campionati sono tutti truccati e noi stiamo qui ancora a guardare le partite come degli allocchi? Oppure, vuoi vedere che i campionati non sono truccati ma gli italiani sono i più bravi del mondo a pensare sempre alla malafede delle giacchette nere? E infine, quali i punti della storia di John Cheever non hanno convinto Aurelio De Laurentis?

Nel dubbio, ho preferito seguire Neddy Merril, il protagonista del racconto, fino all’ultima piscina. L’ho visto crollare mettendosi a piangere. Infelice, infreddolito, stanco, sgomento. Ho seguito il nuotatore mentre riusciva a stento ad arrivare a casa, trovandola immersa nel buio e chiusa a chiave, fino ad accorgersi che era disabitata.

venerdì 7 gennaio 2011

Il posticipo: Juventus-Parma (I piedi caldi di Voltaire, quelli gelidi di Amauri Presley)


Per una certa impazienza che mi aveva agitato anche nel sonno, il giorno dell’Epifania mi sono alzato all’alba. Non vedevo l’alba, così, da una finestra, sulla terra, da almeno dieci anni. Ne avevo vista una, quattro anni fa, viaggiando in aereo, ma non è la stessa cosa. Mi è venuta voglia di scrivere, ma subito ho pensato che fosse una pessima idea. Perché era una voglia banale e, in un certo senso, accademica, da luogo comune.

Ne avevo la certezza per via del fatto che avevo i piedi freddi. Da quando ho letto Sciascia citare la battuta di Voltaire che per dipingere bene bisogna avere i piedi caldi, ogni volta che mi metto a scrivere indosso doppie calze, oppure prima eseguo un rapido, e bollente, pediluvio. Ma all’alba di fare il pediluvio non m’andava, così ho cominciato a immaginare i piedi diversamente temperati degli scrittori appoggiati sulla mia libreria, e successivamente i gradi centigradi racchiusi nelle scarpe di quelli che la gente considera a torto scrittori, forse perché non è stata ancora inventata una parola intermedia capace di distinguere uno Scrittore da uno scrittore. Così, ad un Aldo Busi dai mignoli bollenti, contrapponevo un G.F. dalle caviglie furbe ma ghiacciate. Per un Giuseppe Berto con i piedi fumanti anche se immersi nella neve, mi veniva addosso un P.G. dalle falangi noiosamente assiderate.

Di questo passo, come il narratore del Todo modo di Leonardo Sciascia, sono arrivato perfino a chiedermi se qualche scrittore affermato conservi davvero le proprie pagine migliori per sé, regalando ai lettori solamente quelle scritte a piedi tiepidi o raffreddati. Ma conoscendo la vanità media della quasi totalità, mi sono risposto che la distinzione tra pagine calde e pagine fredde deve essere un affare che riguarda pochi umili, e bravi Scrittori.

Camminando innocuo fino a mezzogiorno, ho stancamente appreso che Juventus-Parma si sarebbe giocata alle dodici e trenta. Finite in pochi secondi le maledizioni riguardanti lo scomodo orario, ho apparecchiato la tavola, mentre la famiglia si riuniva per il consueto pranzo della Befana. Mia madre come al solito non si era risparmiata, mettendo sui piatti:
uno strano cotechino cremonese a forma di palla, cotto per tre ore e mezza. Involtini, polenta, lenticchie con carote sedano cipolla. E poi qualche foglia d’insalata, per soddisfare qualche spirito vegetariano, e ovviamente una bottiglia di rosso ancora da scegliere: Chianti? Bonarda? Dolcetto d’Alba?

Al terzo minuto del primo tempo, senza informazioni riguardanti il risultato, ho deciso per il piano d’evasione. Quattro lenzuola legate insieme (grande il vantaggio di avere una madre proprietaria di un negozio di arredo casa) calate dal balcone al terzo piano fino quasi al marciapiede.
Al quindicesimo, ho simulato un forte mal di testa, il bisogno di stendermi un po’.
In camera ho spento la luce, abbassato la tapparella il giusto per passarci sotto con il passo del leopardo, imparato durante il servizio militare.

Planato sulla crosta terrestre, mi sono diretto al bar dei cinesi, quello rosso, sull’angolo. Con rinnovato spirito imprenditoriale, il popolo cinese ha finalmente capito che per integrarsi meglio deve affidarsi al calcio, per questo mi ha stupito moderatamente vedere i baristi con la sciarpa bianconera al collo. Quando poi ho notato un cassetto mezzo aperto dietro al bancone, dal quale sbrodolavano i drappi colorati di tutte le squadre di A e B (eccezion fatta per il Portogruaro) il magro stupore ha lasciato spazio definitivamente al disincanto.

Eppure un cameriere tra i più loquaci, Tau Yuanming, si concedeva nei miei confronti più di una confidenza. Pacche sulle spalle. Affermazioni beneaugurati del tipo:
“Sento plofumo di lete. Vedlai che si sblocca Amauli!”
Oppure:
“Pelché Del Neli non ha nemmeno convocato Voltaile? E Leonaldo Sciascia, di nuovo in panchina?”

Caro Tau, il tuo ottimismo è oggettivamente fuori luogo. Mancano pochi secondi al novantesimo, ed il Parma conduce per quattro a uno. Inoltre il presunto centravanti che secondo le tue previsioni dovrebbe segnare, si aggira per il campo pesante come una mucca, ma con i capelli unti. La sua sconfortante staticità mi ricorda quella drammatica di Elvis Presley, a fine carriera. I suoi piedi, sono certamente gelidi.