mercoledì 23 marzo 2011

Il posticipo: Juventus-Brescia (Der spaziergang nach Del Piero)

Robert Walser morì il giorno di natale del 1956, settantottenne, durante una solitaria passeggiata invernale. Considerato il sole primaverile, e il fatto di essere nato il giorno di natale del 1974, domenica pomeriggio ho deciso con sufficiente serenità di fare una passeggiata. Mi sono incamminato da via Tiziano verso San Siro, 3,2 km in circa 40 minuti, secondo il mio BlackBerry. L’idea primaria era di scaricare l’adrenalina provocatami dall’aver letto in mattinata sul Foglio Giuliano Ferrara definirmi “genio creativo”, dopo aver pubblicato un mio breve intervento riguardante gli stretti rapporti tra Berlusconi, Mastroianni e Federico Fellini. Quella secondaria incontrare Robert Walser, come da accordi precedenti, partito dalla Svizzera con qualche giorno di anticipo, giusto all’altezza del Cavallo di Leonardo.

Cavallo maestoso, che ho potuto osservare da vicino (lui enorme, io umano) per 1 minuto, prima che il guardiano mi dicesse siamo chiusi, scusi. Arrivederci e sul piazzale del Baretto sotto la curva Nord, ma di Robert nessuna traccia. Allora rotazione attorno al rettangolo di cemento dagli spigoli rossi, sfuggente allo sguardo come una piramide, non me lo spiego. Da diverse angolazioni, camminando lontano cinquanta metri per voltarmi a guardalo, niente. Il Meazza sfuggente.

Poi, con due ore di ritardo e appena in tempo per entrare alla partita, Walser compariva alle mie spalle pronunciando una frase enigmatica:
“La mia puntualità è un capolavoro. E si sa quanto i capolavori siano rari”.
Durante la sua passeggiata aveva perso tempo con due soste. La seconda in banca, per ritirare i mille franchi che un’associazione di signore caritatevoli e filantrope, incapaci di restare indifferenti alla tanto disprezzata esistenza dei poeti, gli avevano donato. La prima in una libreria, dove aveva litigato con un libraio convinto della necessità del dover “assolutamente” leggere il libro di maggior successo dell’anno.

Dentro San Siro, invece della programmata Inter-Lecce, andava in scena Juventus-Brescia. E mentre gli indossatori di una maglia tra le più prestigiose della storia del football dovevano ringraziare il sempiterno Alessandro Del Piero per tornare a vincerne una dopo cinque settimane, l’autore di Jakob von Gunten mi rivelava che, a suo avviso, persino un passero sembrava avere più possibilità di lui di diventare benestante. Aveva scritto alcuni libri, che però non avevano trovato la minima eco tra il pubblico.

Dopo aver segnato un goal di rara bellezza, il capitano bianconero esultava rabbioso, dimenticando anche di fare la linguaccia come al solito. Correva verso la parete di plexiglass che lo separava dal pubblico e da noi, e picchiava con le mani contro il trasparente.
“Ci devo pensare sempre io” pareva voler dire lasciando le sue impronte.
Walser commentava la giocata a modo suo, impaziente di riprendere a camminare:
“Il quadro meraviglioso del presente diviene subito sensazione dominante. I giorni del futuro impallidiscono, il passato dilegua. Nell’incendio di quest’attimo ardo anch’io, come Del Piero”.

Nelle interviste del dopo partita, l’inadeguato Del Neri si rallegrava della vittoria conquistata non certo per merito suo, gelando il sangue oramai seccato dei tifosi juventini rammentando loro che, forse, sarebbe stato l’allenatore bianconero anche la stagione a venire. Poi farfugliava qualcosa riguardo al ritrovamento del giocatore che aveva risolto la partita, il quale tuttavia perso non si era mai, solo dimenticato in panchina per cinque volte consecutive.

Sulla spaziergang di Walser e mia, stava ormai calando la sera. Il silenzioso termine, non era più molto lontano.

venerdì 18 marzo 2011

Il Berlusconi di Federico Fellini


Il Cav. come Mastroianni nell'harem felliniano di "otto e mezzo", geniale
Al direttore – E se fosse Federico Fellini a dirigere l’idea berlusconiana di spiegare in Tv la storia delle ragazze? Una ripetizione, più castigata, della scena dell’harem in Otto e mezzo. Quella in cui l’alter ego del regista, Guido-Marcello Mastroianni, è circondato da donne di ogni razza, votate con la loro bellezza a servirlo. Quelle vecchie di ventisei anni mandate crudelmente in soffitta. Silvio nella vasca, con bandana al posto del cappello nero. Il Bunga Bunga come trasformazione in realtà del sogno felliniano? La citazione cinematografica estrema di un attore-premier in difficoltà creativa? Come potrebbero giornalisti e critici pronti a osannare la scena dell’harem in Otto e mezzo, giudicare negativamente il Berlusconi di Federico Fellini?
Lei è un genio creativo, su questo non si discute. Se ci fosse un genio creativo anche nel cinema (che Medusa lo cerchi e lo impegni è il mio auspicio) quanto lei propone diventerebbe rapidamente realtà o surrealtà. Ho sempre pensato che il Cav. deve opporsi alla persecuzione puritana facendo soprattutto il capo del governo, ma un regista felliniano qui ci vuole subito.
(Il Foglio quotidiano, venerdì 18 marzo 2011)

martedì 15 marzo 2011

Il posticipo: Roma-Lazio (Un derby deciso da Sandro Penna)

Si racconta che il poeta Sandro Penna, giunto per la prima volta a Roma in treno dalla natia Perugia, appena appoggiati i piedi sulla banchina del binario numero otto, fu affrontato da un fanciullo sfrontato:
“Compro biglietti!”

Inesperto provinciale formatosi con studi irregolari, che forse avrebbe pagato esercitando in vita i più disparati mestieri: contabile, correttore di bozze, mercante d'arte, commesso di libreria (per un certo periodo pure cassiere di libreria) il giovane Penna convinse il fanciullo-bagarino che cinquanta euro era il prezzo giusto per acquistare uno degli ultimi biglietti disponibili per assistere al primo Roma-Lazio della sua vita.

In prossimità dello Stadio Olimpico, preoccupato di smarrire o subire il furto della sua valigetta contenente nove meravigliose poesie, un altro adolescente audace sulla strada dell’autore di Una strana gioia di vivere:
“Vendo raggio laser!”

Assorto in quella nuvola cerebrale precedente alla misteriosa nascita di un verso, Sandro Penna convinse quel ragazzino che venticinque euro era il prezzo giusto per quell’apparecchio minuscolo ma capace di generare un raggio verde in grado di colpire volti anche a centinaia di metri di distanza.

Superati i tornelli, al poeta di Perugia non restò che farsi travolgere dalle emozioni, una cosa che gli era sempre riuscita bene. Come avere la febbre, sapere di dover morire, decidere ugualmente di farsi tagliare barba e capelli per poi rendersi conto che anche un po' di febbre può, dopo tutto, essere utile a fare della poesia.

In campo Muslera mirato dal verde, Totti due volte, il consueto esagerato nervosismo, questa volta messo in scena da Matuzalem, Radu e Ledesma. Colpi proibiti e insulti pesanti per avere ragione con la forza dopo aver dissertato a lungo, giallorossi e biancocelesti, su quale fosse la poesia migliore di Sandro Penna.

domenica 6 marzo 2011

Il posticipo: Juventus-Milan (Il traghettatore Giuseppe Berto)


“E io ti assicuro che ci sono anche mal di testa che fanno piacere”, mi dice Giuseppe.
“Davvero?”
“Sì, Francesco. Sono quelli di domenica mattina, come adesso, quando anche il tuo cervello pare sciogliersi dopo cinque giorni da cassiere, dopo cinque mesi da cassiere. L’ho imparato da quando sono quasi guarito, io.”
“Quindi secondo te non è colpa di Berlusconi se con dieci anni di esperienza in libreria ora mi ritrovo cassiere?”
“No, lo escluderei. E per dimostrartelo ti accompagno a prendere i biscotti e le caramelle dove va anche lui, in via Meravigli, quella dove il tram numero 16 rallenta prima di affrontare la curva verso destra che lo porterà in piazza Cordusio”.

Passeggiando nel sole di Milano, Giuseppe continua:
“Il mio libro più vero penso sia senz’altro Il male oscuro; quello scritto meglio, La cosa buffa; quello intellettualmente più impegnato, La passione secondo noi stessi. Visto che tu, Francesco, hai sete di verità, chiedimi pure quello che vuoi dell’oscurità, e del male.”

Me n’ero dimenticato, ma anni fa, nel mio tascabile de Il male oscuro, avevo incollato una tua fotografia, trovata credo sul Corriere, appena sotto il titolo. Avevi una camicia bianca, una cravatta chiara e dietro la finestra un albero. Roma? Calabria? Stavi scrivendo il tuo romanzo più vero o quello scritto meglio?
Poi avevo trovato una copia rilegata del 1964 del tuo male, tredicesima edizione, con il labirinto giallo e nero in copertina, e in seguito quando mi era capitato di aver voglia della tua prosa più malvagia avevo sempre letto quella. Per questo della fotografia non mi ricordavo più.
Eri in Calabria, mi dici, si vede anche poco mare se ci fai caso, ma non ricordi cosa stessi scrivendo.

Nella bottega più golosa di Milano (Battimelli, Specialità dolciarie dal 1940), in via Meravigli, abbiamo preso delle caramelle alla menta Leone, di Torino. Abbiamo sorriso leggendo un biglietto incorniciato appeso alla parete del Presidente del Consiglio che ringraziava per dei dolci ricevuti in occasione di un suo recente compleanno, pur sottolineando che, a partire dal compimento del trentacinquesimo, i suoi anni si erano definitivamente fermati a trentacinque. Il tempo di tornare seri, e ce lo siamo trovati alle spalle Silvio con tre biglietti per Juventus-Milan.

Con Berto e Berlusconi che mi contendevano a colpi di mani rapide le ultime caramelle del sacchetto, anche una brutta partita mi ha donato aspetti piacevoli. Una Juve volenterosa cercava d’imitare certe grandi squadre bianconere del passato, ma senza creare occasioni di rilievo a causa della mediocrità tecnica dei vari Sorensen, Melo, Martinez e Toni. Il Milan sonnecchiava, ma quando uno dei suoi talenti si svegliava dal torpore, gli spettatori più attenti intuivano come sarebbe andata a finire. Era il caso della bella azione di Cassano verso la mezzora che, prima di sparare alto da pochi passi, aveva fintato in modo magistrale facendo scivolare il grottesco Traoré fin quasi oltre i cartelloni pubblicitari.

Nel secondo tempo, a caramelle finite, arrivava pure il goal di Gattuso, una grintosa ciabattata dal limite che la controfigura di Buffon non riusciva misteriosamente a bloccare. Juventus 0, Milan 1.
Da questo momento la Juve sprofondava nel suo male oscuro, il Milan non infieriva tornando a pennichellare, sognando un meritato scudetto sempre più vicino. In tribuna d’onore restavo solo al fianco di Berlusconi.

Nelle interviste del dopo partita, Marotta e Del Neri ostentavano comunque serenità. Si trattava è vero della terza sconfitta consecutiva, ma era andata meglio rispetto a quelle con Lecce e Bologna. Uno a zero invece che due a zero. Un giornalista di Sky tuttavia, incalzava il direttore generale della Juventus:
“La panchina di Del Neri è a rischio?”
“No, cioè sì. Il nuovo allenatore lo sceglieremo a maggio. Per adesso abbiamo pensato ad un traghettatore esperto, propenso a mirare, tanto per citare un sua frase, non al successo ma alla gloria. Perché rispetto al successo la gloria è tutt’altra cosa, per quanto coloro che si godono il successo siano di parere contrario nonostante gli esempi del passato. Ecco, è giunto il momento di presentarvelo: vieni Giuseppe.”

E fu così che, sciarpa bianconera al collo, ebbe inizio la prima intervista di Giuseppe Berto da allenatore della Juventus.