lunedì 28 novembre 2011

Il posticipo_Lazio-Juventus (Lo straniero Pepe Meursault)




Il giorno in cui Simone Pepe Meursault si rese conto che il ruolo dell’ala destra era scomparso, andò dal suo principale per chiedere due giorni di libertà. Con una scusa simile non poteva dirgli di no, ma non aveva l’aria contenta. Simone aggiunse perfino: “Non è colpa mia”.
Dopo aver mangiato come al solito in trattoria da Celeste, aveva dovuto correre per non perdere l’autobus. L’ospizio era a due chilometri, il direttore era stato comprensivo prima di spiegare che aveva già provveduto a trasportare l’ala destra defunta nel loro piccolo obitorio, per non impressionare gli altri: “Ogni volta che un ruolo muore, gli altri sono nervosi per due o tre giorni, e questo rende difficile il servizio”.

Al funerale Meursault non aveva pianto, non aveva tradito nessuna emozione. Aveva fumato una sigaretta, il cielo era pieno di macchie rosa, si stava preparando una bella giornata. Con il sabato libero era andato al mare a fare il bagno, a baciarsi con Maria. Poi a casa si era annoiato, fino a quando non aveva deciso di girare la sedia, appoggiare i gomiti allo schienale e guardare quello che accadeva giù in strada. Passavano i tram che portavano allo stadio Olimpico grappoli di spettatori stipati sui predellini, attaccati ai parapetti. Quindi i giocatori di Lazio e Juventus con le loro borse di allenamento. Urlavano e cantavano cori per caricarsi, salutavano la gente che li incitava o fischiava a seconda del tifo di appartenenza. Sul tram biancoceleste, che l’esperto Edy Reja pilotava con sicurezza fendendo ali di folla, il capitano Rocchi continuava i festeggiamenti per i 100 goal realizzati con la maglia della Lazio, applaudito da tutti eccetto il deluso Cissè, in disparte e col broncio per l’esclusione dall’undici iniziale. Su quello bianconero, l’autista Alessandro Del Piero guidava spericolato per sfogare la rabbia della sesta panchina consecutiva, ma rispettando come gli era solito anche nei momenti difficili il codice della strada. Anzi, guardando verso l’alto i palazzi e i colori di Algeri, aveva pure frenato di colpo quando aveva scorto al secondo piano Meursalt alla finestra guardare giù, imbambolato o sognante.
“Simone! Ti sei dimenticato che stasera devi giocare?! E va bene, avrai la maglia numero 7”.

Allora per concentrasi prima della partita una passeggiata sulla spiaggia, in uno straordinario silenzio sinonimo di felicità, interrotto solo da quattro colpi di pistola. Lontano il riflesso lucente della lama di un coltello, un arabo a terra. L’assassino di fronte a lui, accecato da una sventura luminosa.
Portato in carcere, sdraiato sulla branda con le mani dietro la nuca, la consapevolezza che perfino in cella, non si è mai completamente infelici. Dal buco con le sbarre si può vedere ancora il mare, anticipato dallo stadio.

Una squadra rosa, e una azzurra, si fronteggiano per conquistare il primo posto in classifica. Ne viene fuori una sfida aperta che recita la scena principale al trentacinquesimo del primo tempo: Rocchi tira a colpo sicuro, ma Buffon riesce a respingere. L’azione bianconera riparte immediatamente, e diciassette secondi dopo Pepe Maursault batte un rigore in movimento e spiazza Marchetti dopo una rapida e letale combinazione Vucinic-Matri. Lazio 0, Juventus 1. L’ala che in estate doveva essere venduta per fare spazio a stranieri più affascinanti esulta, mandando nella buca del calcio d’angolo una pallina da golf, frutto della sua immaginazione. Poi continua per il resto dell’incontro a fare avanti e indietro sulla fascia destra come un forsennato, accompagnato dal motorino svizzero Lichtsteiner.
Nel secondo tempo la Lazio attacca con veemenza, spegnendosi però dopo un gran palo colpito da Hernanes e un’altra parata di Buffon su tiro a girare di Klose. C’è ancora spazio per un miracolo di Marchetti su Giaccherini e per un nuovo legno, questa volta su un improvviso diagonale di Matri.


In galera, è giunta l’ora dell’ultima notte prima di essere condannato a morte. Chi ha ucciso, trova sollievo nella somiglianza tra l’indifferenza propria e quella del mondo. E perché tutto sia consumato, per evitare di essere solo, non può che augurarsi che ci siano molti spettatori il giorno dell’esecuzione, pronte ad accoglierlo con grida di odio.

domenica 20 novembre 2011

Il posticipo_Fiorentina-Milan (La colazione di Stevan Vonnegut Jovetic)



Il sospetto che tutti gli uomini tranne lui fossero dei robot giunse nel cervello di Jovetic appena dopo colazione. Il tempo di digerire i cereali della General Mills Inc. e la decisione: far scivolare le dita sullo schermo del suo Iphone fino a “Delio Rossi”, chiamare il neoallenatore gigliato per comunicargli due cose:
“Mister: i muscoli profondi dell’anca mi fanno ancora male, contro il Milan sabato non ci potrò essere. Mister: in base al romanzo di Kilgore Trout che sto leggendo, ho capito che io sono l’unica creatura sulla terra dotata di libero arbitrio, e la cosa mi fa una certa impressione.”

Curioso tipo questo Kilgore Trout, delirante e spiantato scrittore di fantascienza, cinquantaquattrenne autore di centodiciassette romanzi e duemila racconti eppure sconosciuto a principale e colleghi, almeno fino a quando non aveva ricevuto, da parte dell’ammiratore Jovetic, l’invito alla partita di Firenze, anticipata per l’occasione allo stadio Franchi dal simposio “Il futuro del romanzo italiano nell’era di Alessandro Baricco e Bobby Saviano”.

E allora via in autostop verso la meta, trasportato da camionisti, con tappa per dormire in un cinema della provincia toscana, di certo più economico di una notte in albergo, al cinema come fanno i barboni, che infatti non mancavano nelle ultime file. Nel dormiveglia Kilgore, braccato all’interno del racconto dal suo creatore Kurt Vonnegut deciso a regalarsi qualcosa d’infantile per il suo cinquantesimo compleanno, proprio non poteva fare a meno di pensare:
“Non so chi siano Baricco e Saviano (mi dicono il primo un noioso mestierante della penna che nel suo ultimo romanzo purtroppo fa smettere di scrivere il protagonista invece che se stesso, il secondo un ex scrittore ora indignato di professione anche a New York, ma con biglietto pagato in Business Class). Io no so chi siano ripeto, ma so cosa significa passare una nottata in compagnia di un bel po’ di barboni in un cinema. Al simposio vogliamo parlare di questo?”

Jovetic intanto attendeva nelle vicinanze dello stadio, passeggiando su e giù con un occhio al suo orologio montenegrino, guardando gli altri tifosi come fossero robot, fiducioso che Kilgore potesse offrirgli un punto di vista nuovissimo sulla vita, o quantomeno sulla partita.
“Mi sono perso. Ho bisogno di qualcuno che mi prenda e mi conduca fuori dal bosco.”

Poi in tribuna, al fianco di un Trout indossante occhiali con lenti argentate, come specchi-falle verso altri mondi, osservando i movimenti sul campo di fiorentini e rossoneri, pensando a cosa avrebbe fatto lui, unico dotato di libero arbitrio, al posto loro, i novanta minuti erano trascorsi in un baleno. Un Milan migliore, non riusciva a vincere a causa di un goal di Seedorf annullato ingiustamente, di un rigore e mezzo non concesso, di un palo di Pato. Gli uomini di Delio Rossi, ancora scosso dalla strana telefonata mattutina del suo talento più importante, riuscivano a portare a casa un pareggio fatto di organizzazione difensiva, e un pizzico di fortuna. Fiorentina 0, Milan 0.

Nel dopo gara, al bar dello stadio, lo scrittore prima confortava il trequartista Stevan:
“Questo non è il tipo di posticipo in cui alla fine la gente ha quello che si merita. Ma tu, caro Jo-Jo, non farci caso. Alcuni sembrano averti in simpatia, altri in odio, e tu devi chiedertene il perché. Non sono altro che macchine simpatizzatrici e macchine odiatrici. Sei abbattuto, demoralizzato. Perché non dovresti esserlo? Naturalmente è stancante dover ragionare sempre in un universo che non è stato fatto per essere ragionevole.”
Poi, prima di salutarlo versando una lacrima lunga, lo implorava:
“Tu che assomigli al mio creatore Vonnegut da ragazzo, con lo stesso genio e gli stessi ricci giganti, esaudisci l’unica richiesta che gli ho gridato, nell’ultima riga de La colazione dei campioni (ovvero Addio, triste lunedì!). Ti prego: fammi giovane, fammi giovane, fammi giovane!”

martedì 15 novembre 2011

L'intervista del secolo

Oggi sul Secolo d'Italia Roberto Alfatti Appetiti parla di "Anticipi, posticipi".








Qui sotto invece la mia intervista completa (ovvero l'intervista del secolo):



Come si sono trovati Savio il romantico e Gurrado lo storico, cosa vi unisce e cosa vi divide?

Chiedo scusa, ma fatico a ricordare. Qualcuno, forse Luciano Moggi o il comune amico scrittore Livio Romano, mi segnalò il talento di Gurrado. Andai a controllare. Dai suoi scritti traspariva una forza controllata, uno stile, che non mi lasciò indifferente. Mi univa a lui qualcosa, lo sentivo, come nati per caso distanti (lui a Bari, io a Brescia) ma in fondo simili. Lo storico e il romantico, vero, ma la distinzione non è così netta. Io passo molto tempo guardando Rai Storia, ad esempio, e mi risulta che Gurrado ne trascorra altrettanto seguendo le trasmissioni di Rai Romantica. Eppure, devo ammetterlo, non posso negare di essere romantico. Non esistono più gli uomini di una volta, si dice, e onestamente penso di essere uno dei pochi che va ancora allo stadio con un mazzo di fiori.

Mi divide da Antonio la scelta della squadra del cuore: lui del Milan, io della Juventus. Ma non essendo tifosi nel senso peggiore del termine, è più che altro una distinzione di righe verticali da abbinare al nero. Rosse nel suo caso, bianche nel mio. Mi unisce a Gurrado un certo modo di vedere il calcio, direi sospeso tra quello che accade in campo, dentro la Tv, e ciò che succede invece in alcuni libri che amiamo.


Com'è nata l'idea del libro?

Grazie ai Mondiali del 2010. Al desiderio non realizzato di essere inviati da qualche testata giornalistica coraggiosa in Sudafrica, per commentare le partite del Campionato del Mondo. Abbiamo trovato comunque la maniera di farlo, altrove rispetto a dove avremmo voluto essere: Milano, Parigi, Gravina di Puglia, Brescia. Dai Mondiali siamo poi passati alla Serie A. In un calcio ormai spezzatino, vergognosamente privo di polenta, cosa non era stato mai fatto? Forse vivere gli Anticipi e i Posticipi scegliendo noi le partite da anticipare e posticipare. Nel passato, per quanto riguarda Gurrado, in un presente scelto invece dal posticipatore sia per quanto riguarda la partita fuori orario, sia per l’accompagnatore/scrittore vicino di posto sugli spalti, o sul divano.
Una volta scritti gli Anticipi e i Posticipi, abbiamo pensato alla bellezza di vederli raccolti in un libro, come un almanacco calcistico letterario, un album delle figurine di calciatori e scrittori.


Perché la dedica al Guerin sportivo?

Perché sono cresciuto leggendo il Guerin sportivo, anno dopo anno, superando anche, verso gli otto, lo schock di comprendere che il settimanale del guerriero in pantaloncini bianchi e canottiera verde che, con i piedi sulla V e sulla O, lanciava una penna come fosse un giavellotto, non si chiamava così perché anche mio padre di nome faceva Guerrino. Più avanti, il Guerin per me è stato una cura per resistere, mentre il calcio che avevo scoperto da ragazzino scompariva, inghiottito da troppi soldi, dal degrado culturale e sportivo di un popolo sempre più allo sbando, abile a dividersi in fazioni, religiosamente convinte di essere il bene contro il male, di avere comunque ragione. Anche oggi, vedo il Guerin come un ritrovo mensile di appassionati di calcio, che potrebbero tranquillamente trascorrere serate a parlare di pallone, senza recitare slogan come trasformati nell’avvocato difensore della propria squadra preferita. Insomma, il Guerin sportivo compie 100 anni, e ci pareva bello soffiare su quelle candeline.


Il calcio spezzettato e divorato dalle pay tv può tornare ai fasti comunitari e identitari del passato? avete una ricetta al riguardo?

Ci risiamo, ci danno lo spezzatino senza polenta. La polenta mancante è l’aspetto popolare del calcio che ci è stato sottratto. In una canzone il grande Giorgio Gaber, ironizzando sulla comparsa di campi da tennis in alcune fabbriche per far giocare anche gli operai al “gioco dei padroni”, ad un certo punto sbottava:
“Ma giocate al calcio, cazzo!”
Mi manca quest’aspetto popolare, ma più che lo spezzatino è l’immagine del calciatore come viene rappresentata oggi ad infastidirmi, una specie di star a tutto campo (non solo quello di gioco). E la deriva del giornalismo sportivo (e non solo sportivo), salvo rare eccezioni lasciato in mano a scribacchini mediocri assunti per raccomandazione, a provocatori, a tristi impiegati impolverati come i loro articoli, funzionali anche qui a chi li paga o alla squadra che devono sostenere e/o difendere.
Ricette, non ne vedo. Ci vorrebbe un azzeramento, simile a quello di cui avrebbe bisogno la classe politica e dirigente italiana. Ma anche questo non credo basterebbe. Il problema insanabile sta, a mio avviso, nella “malafede”, carattere distintivo secondo Curzio Malaparte del popolo italiano. E da un popolo in malafede io non mi aspetto e non pretendo nulla.


Quale è (o sono) la bandiera del calcio ancora in giro per i campi?

Ritengo Michel Platini e Diego Armando Maradona due bandiere del calcio mondiale. Una di buon governo, l’altra di opposizione.


Consigliereste a vostro figlio - quando ne avrete - di giocare al calcio oppure...

Certo, ma all’oratorio. Mio figlio comunque nascerà a gennaio, e sarà compito di suo padre porgli fin da subito una delle prime, fondamentali domande della vita:
“Ti senti più centrocampista o attaccante?”


Infine, un'autobiografia: chi sei, che fai e perché lo fai?

Sono Francesco Savio: libraio, scrittore, lettore per l’editore Giangiacomo Feltrinelli ma soprattutto ex trequartista. Faccio queste cose perché Andrea Agnelli non mi ha ancora chiamato alla Juventus. Per raccogliere i palloni alla fine di ogni allenamento, o allacciare le scarpe a Del Piero adesso che il capitano è vecchio e fatica a piegarsi con la schiena. Tuttavia, ringrazio il presidente bianconero per avermi scritto, un anno fa, un biglietto contenente delle frasi di apprezzamento per il mio primo romanzo “Mio padre era bellissimo”.

mercoledì 9 novembre 2011

Anticipi, posticipi



Da oggi, nelle migliori librerie: "Anticipi, posticipi".



Il mio nuovo libro, con Antonio Gurrado.



Prefazione di Roberto Beccantini.



Da quando la sacra domenica del pallone s’è parcellizzata in innumerevoli partite del pomeriggio prima alle 18, del giorno stesso alle 12:30, della sera dopo alle 20:45, è diventato impossibile seguire il calcio come uno sport immanente, vissuto sull'attimo, hic et nunc; è invece diventato obbligatorio considerarlo trascendentalmente, con lo sguardo strabicamente rivolto al passato e al futuro, in una catena ininterrotta di anticipi e posticipi.
Antonio Gurrado, che è uno storico, guarda all’indietro e domenica dopo domenica individua una partita che è stata grande anni e anni fa, scovandone il motivo d'interesse nella smorfia dimenticata di un campione, nella scena secondaria di un film, in una spiazzante indagine sociologica. Francesco Savio, che è un romantico, guarda in avanti e domenica dopo domenica chiede a uno scrittore diverso (sovente deceduto) di accompagnarlo sugli spalti di uno stadio o davanti al decoder di Sky, trovando una frase, una descrizione, un’interiezione che dia un appiglio eterno al campionato in corso, altrimenti insensato. Anticipi e posticipi raccoglie gli scritti occasionati dalla Serie A 2010-‘11 inseguendo a ogni giornata le maglie, la storia, l’ideale di insopprimibile bellezza che anche la partita più insospettabile nasconde.

lunedì 7 novembre 2011

Il posticipo_Napoli-Juventus (Una domenica d’impazienza)

Domani sera alle nove a casa tua. Appena sveglio avevo riletto il primo romanzo di Raffaele La Capria in poche ore, come a voler rivivere il tempo narrativo di un giorno in quello domenicale di lettura. Se il protagonista senza nome di Un giorno d’impazienza sperava che il suo appuntamento con Mira (ma in realtà con la Realtà) coincidesse con lo sbucare in qualche modo dall’altra parte dell’adolescenza, io mi accontentavo di sperare che il mio appuntamento serale significasse semplicemente giungere al termine di una giornata piovosa e lavorativa.

Poi sul tram per andare in libreria o allo stadio San Paolo, il negativo del finestrino mostrava l’ombra del mio volto, alla ricerca pure io della mia Mira, donna o meglio segreto per dare forma organizzativa al mio presunto stile. Ma se la Mira chiara di pelle come la sua collana di perle aveva cuore solo per l’arrestato Walter e non per l’io di La Capria, la mia ugualmente pareva temere l’evasione di prigione di un altro Walter, in galera per non essere mai stato capace di ammettere una sconfitta senza chiamare in causa l’arbitro, la sfortuna, il vento.

Verso mezzogiorno, poco dopo aver oltrepassato i Giardini della Villa Comunale, la pioggia sempre più violenta batteva contro il tetto del tram e le voci dei napoletani facevano arrivare anche alle mie orecchie la notizia di un morto, a Pozzuoli, colpito da un albero mentre era in automobile. Partita rinviata e tutti giù dal tram, ma già che ero a Napoli, andiamo a vedere questo famoso Nottambulo.

Nel locale dove Mira andava con l’amica Gina a farsi fottere da chi capitava, più che altro per passare il tempo, trovo Raffaele giovane intento ad aspettarla, a bere pernod fino a stare male. Prima che questo avvenga, siedo al suo tavolo, ordino a mia volta, il cameriere versa l’acqua nel bicchiere e il liquido diventa fumoso, lattescente. Lo bevo tutto d’un fiato e ne ordino un altro, perché Mira sostiene che inizia a funzionare solo dopo il secondo bicchiere. Sa di anice, e con l’impaziente al tavolino parliamo della partita che avrebbe potuto essere: un Napoli stanco dopo la trasferta di Monaco di Baviera, una Juventus lanciata dopo la vittoria sull’Inter. Di Lavezzi e Matri, di Inler grazie al cielo senza maschera del Re Leone e di Arturo Vidal con i capelli più alti nel mezzo. Napoli, Juventus.

Dopo l’ultimo pernod il maestro Raffaele appallottola stizzito la lettera che stava leggendo con amara emozione. Si alza ed esce dal Nottambulo, lo seguo. Investiti da un aria umida, autunnale, che proviene dal mare, diamo calci alla pallina di carta. Ecco Cavani che tocca per Hamsik, contrastato da Marchisio. Superiamo prostitute, macchine che passano veloci libere dal giogo dei semafori. Per una giornata avevamo atteso senza pazienza ed ora che restava di Mira, della partita?
Solo una parodia, il nostro essere ridicoli, pronti a ricominciare tutto da capo con le stesse parole e gli stessi pensieri, per ritornare nel cerchio al punto di prima e dire e fare le stesse cose, per ricadere, come se non ne avessimo avuto già abbastanza, in un altro giorno, in un’altra domenica d’impazienza.

venerdì 4 novembre 2011

Berlusconi al Festival di Cannes

Silvio Berlusconi è tra i favoriti per la conquista della Palma d'oro al Festival di Cannes.