martedì 17 maggio 2011

Parma-Juventus (Martin Eden Giovinco)

Un gentile bibliotecario di Torino ricorda ancora quando, intorno al duemila, un ragazzino non troppo alto e con i capelli rasati a zero andava a trovarlo alla biblioteca pubblica per chiedergli consigli su quali fossero le letture più adatte alla sua capacità di autodidatta.
Giovinco appariva con la borsa ancora in spalla e trascorreva così leggendo l’ora che separava la fine dell’allenamento all’arrivo dell’automobile paterna che l’avrebbe riportato a casa a Beinasco. Voleva diventare un calciatore, benché le speranze di crescere fisicamente fossero poco probabili, e secondo alcuni indispensabili per diventare un atleta professionista.

Al bibliotecario gentile, era parso che quel desiderio visionario di Sebastian fosse alquanto simile al tormento di autore non pubblicato caratteristico di Martin Eden, giovane marinaio figlio della penna di Jack London, e per questo aveva ritenuto opportuno convincere la futura Formica Atomica a prendere in prestito il volume che lo scrittore di San Francisco aveva sempre considerato il suo libro migliore, malgrado la pessima accoglienza che la critica aveva riservato al romanzo al momento dell’uscita, nel 1909.

Il piccolo juventino, dopo l’iniziale scoramento provocato dal numero delle pagine dell’edizione tascabile Rizzoli (455) ci aveva preso gusto, e allenamento dopo allenamento, passaggio in biblioteca dopo passaggio in biblioteca, si era reso conto che nella storia di Martin Eden c’era qualcosa che, misteriosamente, lo riguardava molto da vicino.

Martin si ostinava a scrivere, nonostante l’apparente totalità delle riviste americane sembrassero d’accordo nel rifiutargli ogni racconto.
Sebastian prolungava solitario lo studio dei calci piazzati dal limite dell’area oltre la fine della partitella conclusiva del giovedì, nella quale era quasi sempre il migliore, tuttavia sedicenti esperti dialogavano tra loro a bassa voce: “Bravo, ma troppo piccolo, non giocherà mai in serie A”.

Gravato dai debiti, Martin dormiva cinque ore a notte. Lavorava così duramente in una lavanderia da non riuscire più nemmeno a leggere, la sera, ma di colpo qualche editore aveva iniziato a pubblicargli qualcosa, dimenticandosi al massimo di pagarlo, ma si trattava di un particolare.

La Formica Atomica esordiva con la Juventus in Serie A, poi in Champions League. Seppure tra alti e bassi, spesso dovuti a infortuni, dimostrava un talento limpido, eppure un direttore generale poco avvezzo a gestire un grande club decideva di mandarlo a Parma in prestito, con diritto di riscatto della metà. Del resto, sottolineava il massimo dirigente, si era assicurato le prestazioni del fantasista uruguaiano Jorge Martinez (decisamente più alto e muscoloso) versando al Catania solo 15 milioni di euro.

Per Martin Eden sarebbe infine arrivato il successo, accompagnato da fama, ricchezza, ma pure dalla fine di un amore, dall’imbarco-fuga su una nave e da un repentino tuffo dal finestrino di prima classe, con subitaneo annegamento.

Per Sebastian una domenica di metà maggio, un rapido movimento a ingannare due storditi difensori bianconeri e un tiro strepitoso all’incrocio, alle spalle dell’ex portiere più forte del mondo. E un’esultanza sorridente, pulita e infantile, lanciato in aria dai compagni della panchina gialloblu, come un piccolo Martin Eden, giovane marinaio a Parma.

martedì 10 maggio 2011

Genoa-Sampdoria (Mauro Boselli Carver, il centravanti minimalista)

Per anni ho divorato biografie di scrittori. Con la matita segnavo date che li riguardavano, a mio avviso fondamentali. Nascita, pubblicazione del primo libro, del secondo. Ma anche matrimonio, primo figlio, divorzio, morte. A che punto ero io rispetto a loro? Era ancora saggio sperare, di fronte a certe quasi annuali, spesso geniali e sconfortanti produzioni?

Talvolta qualcuno dei miei scrittori preferiti “decideva di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura”. Questo lo sottolineavo due volte. Perché loro sì e io no? Come facevano senza lavorare? Chi pagava loro l’affitto? Perché non ereditavo pure io? Perché nessun editore mi allungava un consistente anticipo, o nessuno pensava di premiarmi con una borsa di studio?
Fatto sta che ad un certo punto, loro si dedicavano a tempo pieno alla scrittura, mentre io mi svegliavo per andare a vendere lavatrici, frigoriferi e televisori.

Fino a quarant’anni Raymond Carver beveva fino a stordirsi, rendendo un inferno la vita della moglie Maryann, la quale, mentre Ray si ubriacava con John Cheever invece che insegnare scrittura creativa all’Iowa Writers’ Workshop, portava a casa il pane lavorando come cameriera, o venditrice porta a porta di enciclopedie. Quando aveva cominciato?
Poi Carver accettò i pesanti interventienti che il potente editor Gordon Lish effettuò su un suo racconto, pur di vederlo stampato sull’importante rivista Esquire. Maryann lo accusò di essere un venduto, ma Ray pensò che il compromesso valeva la pubblicazione, mandando giù pure il cambiamento del titolo (da I chilometri sono effettivi? a E questo cos’è?)

Dopo aver convinto casalinghe dubbiose a preferire una lavastoviglie piuttosto che un’altra, nel pomeriggio andavo a leggere al parco o, se il clima non lo consentiva, in biblioteca. In quella di Casazza, ricordo, il bello era che non c’era nessuno, che potevi girare per le stanze consultando direttamente i libri posizionati sugli scaffali, prima di scegliere se prenderli in prestito. Lì, avevo scoperto Raymond Carver.

Anche rileggendo a distanza di anni Vuoi star zitta, per favore? non sono riuscito a ricordare con precisione quando il derby di Genova si è trasformato da partita sentita e coreograficamente unica ad isterico spettacolo di eccessi nervosi messi in mostra: in campo dai calciatori, sulle tribune dagli spettatori. Quando è avvenuto questo cambiamento?

Domenica sera le cose non sono andate diversamente. Già dai primi minuti, il giallo Tagliavento galleggiava a fatica circondato da giocatori che protestavano sistematicamente, mettendogli le mani addosso o aggredendo i guardalinee per ogni fallo fischiato, oppure no.
Sette minuti oltre il novantesimo tuttavia, quando il pareggio sembrava la soluzione più probabile, il centravanti argentino Mauro Boselli decideva di dedicarsi a tempo pieno alla scrittura di un racconto minimale, il più semplice e complesso che gli veniva in mente: controllo di destro su passaggio rasoterra di Milanetto, rapida rotazione intorno al proprio asse e girata di sinistro nell’angolo più lontano alle spalle di Da Costa. Genoa 2, Sampdoria 1.

lunedì 9 maggio 2011

domenica 1 maggio 2011

Lazio-Juventus (L'ultimo tunnel di Ernesto Sabato)




Vi chiederete cosa mi spinga a guardare una partita di calcio il lunedì sera e soprattutto, a sperare in un goal. Conosco abbastanza bene l’animo umano per prevedere che penserete all’eventualità che io possa avere una passione per una delle due squadre in campo.

Forse avete ragione, ma c’è qualcosa di più misterioso e ingenuo che mi obbliga alla poltrona: la speranza che durante Lazio-Juventus qualcuno (il telecronista, il commentatore tecnico, Hernanes) mi segnali un luogo, una libreria, dove io possa recuperare la prima edizione Feltrinelli (1967) de “Il tunnel” di Ernesto Sabato.

Pessima abitudine quella che possiedo di spendere per libri di un tempo, ma tutto sommato meno dannosa dell’ossessione che soffoca Juan Pablo Casal, noto pittore, quando scorge una giovane donna, Maria Iribarne, di fronte ad un suo quadro, osservatrice bella perché senza vanità.
Finirà con l’ammazzarla, delitto che a mia ulteriore discolpa io non ho mai pensato di commettere, nemmeno nei confronti di certe libraie che mi rispondono di non avere nessuna copia de “Il tunnel” targato Feltrinelli, nonostante ne stiano sfogliando di nascosto una sotto il banco del punto informazioni.

Così io mantengo l’equilibrio (mio pregio, mio difetto) quando incontro per caso la libraia per strada. Mantengo l’equilibrio, mentre mi avvicino a lei giorno dopo giorno, quando capisco che anche Maria è rimasta colpita dalla mia personalità.
Per via di questo equilibrio non cado, quando scopro che la libraia è sposata e che suo marito, Allende, è cieco.

Non ucciderò Maria, nonostante il buio solitario. Il tunnel solitario in cui ho trascorso la mia infanzia, la mia giovinezza, la mia vita.
Me ne starò qui di lunedì sera, a guardarmi la partita, girandomi tra le mani la mia copia de “Il tunnel” (Einaudi, 2001), riflettendo amaro su quotidiani che dedicano venti righe alla morte di Ernesto Sabato, e duecento al lato B di Philippa “Pippa” Middleton.


Poi pregherò per il miracolo di un tunnel di Del Piero a Dias, sublime citazione pensata dal capitano bianconero per omaggiare lo scrittore scomparso sabato trenta aprile, a novantanove anni. Ma sarà più probabile che mi tocchi vedere, dopo una rete biancoceleste, lo spogliarello di Zarate, deciso con la messa in mostra del suo nuovo tatuaggio a fare colpo sulla rampante sorella della novella sposa Kate.