Brescia - Compro il giornale solo la domenica
perché non vado più a messa da quando sono bambino, l'edicola era ed è vicino
alla chiesa moderna degli anni cinquanta del quartiere dove sono nato, mi è
rimasta con ogni evidenza solo una forma d'abitudine, quando torno a Brescia.
La domenica può anche capitare di leggere qualcosa di normale o di quasi
divino, sul quotidiano, un articolo di Gianni Clerici ad esempio, o
un’intervista a Corrado Ferlaino a trent’anni dall’acquisto di Diego Armando Maradona
in cui l’ottantenne ex-presidente del Napoli ricorda e spiega l’Italia degli
anni ottanta e di sempre meglio di bianchi e barbosi editoriali, delle inutili
pagine recitate della politica europea e romana. Poi certo, devi far finta di
niente e contenere il moderato fastidio notando il nome dei giornalisti inviati
in Brasile, amorfe riproduzioni di quando un tempo a seguire le grandi
manifestazioni sportive internazionali venivamo spedite grandi firme del
giornalismo e addirittura della letteratura italiana, mentre invece ora. Così,
a proposito della fortunata vittoria del Brasile contro il Cile ai calci di
rigore, uno dei cronisti comincia “Il vecchio Julio ha iniziato a mangiare le
sue lacrime prima, senza sapere quale gusto avrebbero avuto dopo”, l’altra
risponde “Il Cristo Redentore si china sul milione di persone che trattengono
il respiro a Copacabana, si ricorda delle preghiere della madre di Neymar,
della vecchia in carrozzella…” Della vecchia in carrozzella, ma vai a Biella,
vai a Biella, smettila ti prego Concita, perché hanno inviato te a Rio De
Janeiro invece che Savio e Gurrado, questo è davvero un mistero ma soprattutto
un problema relativo che riguarda me e Antonio, seduti a gustare due ottimi
cornetti alla crema da Piccinelli in via Santa Maria Crocifissa di Rosa numero
19, pasticceria dal 1862. Già mentre stavamo presentando i nostri romanzi alla
Feltrinelli in corso Zanardelli, ci osservavi beffarda De Gregorio dal tuo ritratto
quadratino-fotografia appeso alla parete della libreria, sentenziando: “Bisogna
distinguere il bene dal male, il bianco dal nero”, noi abbassavamo lo sguardo
stremati Concita di fronte a tanta saggezza molle e disciplinata, tornavamo a
parlare al pubblico attento che ci stava miracolosamente ad ascoltare e
terminavamo soddisfatti il nostro pacato canto a noi stessi ritrovandoci poi il
mattino dopo con due cornetti alla crema in mano da accompagnare a un cappuccio
da Piccinelli, dopo l’Italia anche l’Uruguay era stato eliminato dalla Colombia
e adesso per chi parteggiare? Sfogliando la margherita delle squadre rimaste,
dal mio punto di vista restavano Argentina, Francia e Olanda che in serata
tuttavia aspettava il minuto ottantotto per pareggiare il conto con il
meritevole Messico grazie a un rabbioso tiro appena dentro l’area di Wesley Sneijder,
potente e discendente nell’andare a beffare l’ormai noto seppur disoccupato
portiere dei tricolori Ochoa, un po’ Claudio Garella un po’ Caparezza. Ero comunque
pronto per i supplementari quando il migliore in campo Robben, al 90+3, puntava
nuovamente Marquez, bravo ma trentacinquenne, che infatti lo atterrava in
ritardo in area di rigore. Klaas-Jan Huntelaar veniva incontro all’autore di
questo dimenticabile pezzo che anni fa, ai tempi dell’Ajax, lo immaginava tra i
potenziali centravanti migliori del mondo e segnava il penalty pesante come un
macigno, prima di correre verso la bandierina del calcio d’angolo e ammazzarla
con un colpo di Kung-fu: Olanda 2, Messico 1. Io facevo i bagagli, come del
resto il Messico, ma per tornare a Milano, e mentre caricavo l’automobile
pensavo con stanchezza cerebrale al mio eventuale futuro da narratore: cos’avrei
scritto adesso? Come avevo fatto a scrivere i precedenti? Perché passavano gli
anni ma romanzi come L’Integrazione, La vita agra e Il male oscuro mi apparivano nascondere al loro interno l’unica
chiave da interpretare per andare avanti in modo dignitoso? A questo punto il
Brasile si sarebbe trovato in semifinale contro la Germania, dall’altra parte
del tabellone Olanda-Argentina. Finale quindi Germania-Argentina, con i
tedeschi campioni del mondo.
domenica 29 giugno 2014
venerdì 27 giugno 2014
Ritorna "L'integrazione" di Luciano Bianciardi
Torna disponibile in libreria L'integrazione di Luciano Bianciardi, seconda tappa della fondamentale trilogia che comprende Il lavoro culturale e La vita agra.
Maracanazo. Portogallo-Ghana: Einaudi non twitta Luis Suarez
Torino –
Arrivo a Torino e via twitter la casa editrice Einaudi ammonisce severa:
“Se state
per twittare una battuta su Suarez potreste chiedervi perché voi e altri
milioni di persone lo stiate facendo nello stesso momento.” Accuso il colpo per
addirittura qualche secondo, ho appena letto la notizia della squalifica per
motivi disciplinari di Luis Alberto e, devo ammettere, stavo forse cadendo
nella trappola anch’io, Cesare Pavese non l’avrebbe mai fatto, letta su La Stampa la decisione del giudice
sportivo in merito ai cattivi comportamenti di Giampiero Boniperti o John
Hansen avrebbe immediatamente chiuso il giornale per ridurre al minimo le cose
frivole, non fare pettegolezzi, scrivere quella poesia in cui si ritrova in una
stradina di campagna e. Mannaggia, non sono quindi uno scrittore impegnato e
anzi risulto invero pure un uomo banale se la notizia relativa a Suarez mi
spinge a pensare anche solo per un momento alla stessa cosa che invade il
cervello di altre milioni di persone, pare volermi ricordare l’editore. Lungo
via Roma apprendo da un maxi-schermo sforna informazioni che c’è stata un’esplosione,
forse una bomba in un centro commerciale di Abuja, in Nigeria, almeno tredici i
morti, sono uno scrittore impegnato perché mi fermo immediatamente a riflettere
sull’accaduto anche se per pochi secondi, controllo i tweet della casa editrice
Einaudi ma non se ne parla, male, mi viene ricordato invece che Parrella sarà
ospite della IX serata di Letterature 2014 (allegata fotografia pensosa di
Valeria in posa carina), quindi altro tweet di un lettore emozionato perché la
sua casa editrice preferita (Einaudi) ha vestito la sua copertina con sua la
stilista preferita, bene, infine è Carofiglio a essere ritwittato quando
ricorda, con un certo fastidio:
“Un'ulteriore
comunicazione in risposta a numerose richieste. Per le presentazioni bisogna
rivolgersi all'ufficio stampa.”
Io dell’ufficio
stampa invece faccio a meno, mi sto dirigendo alla Feltrinelli di piazza C.L.N.
per la presentazione de “Il fuorigioco sta antipatico ai bambini” e “Ho visto
Maradona” in compagnia di Antonio Gurrado, anche lui sta pensando alla
squalifica di Luis Suarez (non è uno scrittore impegnato) e stabiliamo di
comune accordo che per l’Uruguay, nostra squadra del cuore, adesso sarà dura
vincere il Mondiale, e che,
probabilmente, lo schieramento di emergenza più utile a questo punto potrebbe
essere quello con Cavani unica punta e Lodeiro appena dietro, a meno di non
rischiare dal primo minuto a fianco del centravanti parigino uno tra il vecchio
Forlan o il giovane Hernandez. Dopo un Pastis e un Vermut da Fiorio siamo
soddisfatti o rassegnati, non saremo mai degli scrittori affermati, arriva la
pioggia, scompare il sole, non siamo per niente di buonumore. Ci sono tutti i
presupposti per fare male, invece arriviamo in libreria e Darwin Pastorin ci sta
aspettando, faremo una buona presentazione, ritorneremo verso Porta Nuova chiacchierando
di Giuseppe Berto, quanto ha fatto il Portogallo? Due a uno sul Ghana con rete
di Ronaldo, ma non sufficiente per passare il turno, agli Ottavi andranno
Germania e Stati Uniti. Sulla locomotiva gli eroi son tutti giovani e belli,
gli uomini son tutti uguali, un pazzo si è lanciato contro il treno. Suarez non
temere, che corro al mio dovere, trionfi la giustizia proletaria, trionfi la
giustizia proletaria, trionfi la giustizia proletaria.
martedì 24 giugno 2014
Maracanazo: Italia-Uruguay. Mario Benedetti, morsi, gomitate e Godin
Milano - Lo sa anche Mario Benedetti che Diego Godin bisogna marcarlo sui calci d’angolo, voi direte chi è Mario Benedetti. Procedendo per esclusione non è Mario Balotelli, o forse lo conoscete meglio come Mario Orlando Hamlet Hardy Brenno Benedetti-Farugia, figlio di Brenno e Matilda, immigrati italiani in Uruguay. In ogni caso è stato un poeta, saggista, scrittore e drammaturgo. Ma Diego Godin bisogna marcarlo sui calci d’angolo, possibilmente tirargli una gomitata mentre salta o pestargli un piede prima che stia saltando, specie quando l’arbitro ha espulso ingiustamente un giocatore della tua squadra e di certo non è nella condizione psicologica ideale per valutare correttamente un’azione scorretta e confusa che accade dentro l’area di rigore. Ma è il trentaseiesimo del secondo tempo e sugli sviluppi di un calcio d’angolo saltano in quattro uruguagi contro Chiellini che, pur solitamente abile nel far roteare i gomiti, non può l’impossibile sovrastato nella circostanza dall’autore del gol, da Caceres, da Rios e da un altro: Uruguay 1, Italia 0. Chiedo a Mario Benedetti se lo sa che Diego Godin bisogna marcarlo sui calci d’angolo e il poeta, saggista, scrittore e drammaturgo uruguaiano mi risponde Ma certo che lo so, anche se sono morto a Montevideo nel 2009 dopo che ero nato a Paso de los Toros nel 1920. Godin bisogna marcarlo sui calci d’angolo, continua Mario, possibilmente tirargli una gomitata mentre salta o pestargli un piede prima che stia saltando, e lo dico contro il mio interesse perché sono celeste, ma specie quando l’arbitro ha espulso ingiustamente un giocatore della tua squadra e di certo non è nella condizione psicologica ideale per valutare correttamente un’azione scorretta e confusa che accade dentro l’area di rigore, bisogna alzare il gomito o pestare il piede. Godin invece balza indisturbato e fate conto che è già alto un metro e ottantasei anche se in televisione sembra addirittura più lungo. Balza Godin e per sicurezza si tira dietro in aria Caceres, Rios e un altro tanto che Chiellini non alza nemmeno i piedi da terra e l’Italia subisce uno dei goal più banali da quando esiste il calcio ovvero un corner calciato in mezzo all’area di rigore e uno spilungone (nemmeno esagerato, un metro e ottantasei) salito dalla difesa per cercare il colpaccio lo trova senza neanche ricevere una gomitata o almeno un piede pestato. E’ finita, torniamo a casa dopo aver vinto con l’Inghilterra e aver perso con la Costa Rica e l’Uruguay. Abete e Prandelli si dimettono (il primo con qualche anno di ritardo, il secondo perché scaduto il prestito stabilito a suo tempo con la parrocchia di Orzinuovi). Chiellini controlla i segni che Luis Alberto Suarez gli ha lasciato con un morso sulla spalla e trova conferme alle voci che dipingono il fenomenale attaccante del Liverpool talvolta come Dracula, come un cane senza museruola, come Hannibal Lecter. In famiglia non ci perdiamo d’animo e ceniamo con un risotto allo zafferano spesso confuso con il risotto alla milanese e del vino bianco. Abbiamo altri motivi per festeggiare. E Mario Benedetti? Non è Mario Balotelli, sostituito mestamente dopo aver fallito l’ennesima partita in cui avrebbe dovuto dimostrare di essere quello che non sarà mai, ma un figlio di immigrati italiani, Brenno Benedetti e Matilde-Farugia, i quali lo battezzarono con cinque nomi: Mario Orlando Hamlet Hardy Brenno. Forse lo conoscete meglio così.
lunedì 23 giugno 2014
"Il fuorigioco sta antipatico ai bambini" su Alto Adige e Trentino
Oggi, nella pagina dedicata ai libri dei quotidiani Alto Adige e Trentino, Carlo Martinelli scrive de Il fuorigioco sta antipatico ai bambini e di Ho visto Maradona. Io nella circostanza sono Michel Platini, Gurrado ovviamente è Diego Armando Maradona.
domenica 22 giugno 2014
Maracanazo: Belgio-Russia. Le figlie di Van Gaal e Nanni Moretti
Stradella – A un matrimonio in un cui il fotografo ufficiale era Louis
Van Gaal giovane mentre io invece ero vestito benissimo (non mi metto sempre
camicia bianca e cravatta azzurra di Marinella
altrimenti francamente divento irresistibile) mi è tornata in mente come ogni
volta che penso all’allenatore olandese quella faccenda delle figlie che erano
obbligate a dargli del lei, che forse tuttora sono obbligate a dargli del lei, le
cose folli tendo a non dimenticarle. Comunque Louis Van Gaal da allora me lo
immagino in ciabatte di plastica con le calze bianche mentre si rilassa a
questo punto presumo ospite delle figlie (si sono sposate, hanno forse scelto
uomini che continuano a pretendere dalle mogli del lei) e ordina:
“Anneke! Mi porti un caffè per favore!”
Anneke corre alla macchinetta timorosa e cerca di fare il meglio, si
sa mai che sbagli la diagonale dal salotto alla cucina, Louis frena i pensieri
che lo portano a visioni di sovrapposizioni, pressing e soluzioni alternative
al pensato del mister avversario, che diamine sta riposando.
Quindi sono andato dal fotografo, gli ho detto Sai somigli a Louis Van
Gaal da giovane, lui ha tentennato e mi ha risposto in tedesco, era tedesco
perbacco, ma io la lingua di Goethe l’ho studiata cinque anni seppur male e non
è detto che mi torni utile se un giorno mi ritroverò disoccupato e dovrò trovar
lavoro in Sud Tirol. Quindi ho capito, Tu piuttosto sembri Pirlo mi ha detto,
ci siamo presi uno spritz ed è finita lì. Si sposavano un siciliano e una
germanica, amici conosciuti al corso pre-parto un paio d’anni fa, e i tedeschi
mantenevano come da copione un cerco distacco dalla partita che andava in
contemporanea alla cerimonia: Germania-Ghana. La loro indifferenza ai fatti
sportivi era evidente, mangiavano e bevevano, una cantante sola sul palco della
sua sopravvivenza economica tirava avanti a campare con buona professionalità
mischiando danze italiane e teutoniche, qualche invitato ubriaco chiedeva il
microfono per eseguire la sua canzone (composti i merkeliani, sbracati i nostri).
Io controllavamo ogni tanto il risultato e lo comunicavo ai presenti, uno a
zero, uno a uno, due a uno due a due, è finita. La cantante intonava le
temibili Dieci ragazze e Volare per portare a casa la pagnotta e
io mi sentivo come Nanni Moretti in Bianca quando sale sul pullman e trova gli
altri professori della scuola Mariliyn
Monroe pronti a partire per una gita fuori porta. Per fortuna Laura
Morante, il collo di Laura Morante, ottima occasione per gridare all’autista Si
fermi! Voglio scendere!
Ho visto invitati tedeschi passare davanti a italiani in coda al buffet
sopportati da camerieri istruiti, pronti a ribattere:
“Tanto quando c’è Italia-Germania perdono sempre.”
Quasi sempre, mi sono permesso in camicia bianca e cravatta azzurra,
cominciamo intanto a pareggiare martedì con l’Uruguay, faccia un passo avanti
chi se la sente di marcare Luis Alberto Suarez. Per rientrare a casa all’una di
notte abbiamo percorso una stradina tra i campi, poi la tangenziale e l’autostrada.
Mi sono ricordato lungo il viaggio che a me toccava commentare Belgio-Russia e
invece a Gurrado Germania-Ghana. Era troppo tardi. Ho pensato di far finta di
niente e oltrepassare con disinvoltura il casello, Fabio Capello è riuscito a
esportare il suo calcio soporifero anche ai Mondiali brasiliani, certo messo in
scena nella circostanza da interpreti poco al di sopra della mediocrità. Il
Belgio ha fatto poco di più, e solo nel finale grazie alle gambe storte e
veloci di Hazard. L’uno a zero di Origi a pochi minuti dal termine ha fatto la
felicità di una bella e bionda tifosa belga con le corna sugli spalti, quella
vicino purtroppo era meno carina.
venerdì 20 giugno 2014
Maracanazo: Italia-Costa Rica. Il bambino Miao e Frankenstein Junior Chiellini
Milano – Ma quale Italia, oggi pomeriggio dalle 17.30 alle 19.15 sono
andato al parco di Pagano con Pietro a fare le scivolate e un po’ di altalena,
quindi abbiamo giocato a calcio con un bambino cinese che si chiamava Miao, e
cioè visto che i rispettivi eredi avevano iniziato a calciare l’uno in
direzione dell’altro e a ripetizione, mi era sembrato il caso di socializzare e avevo
detto:
“Ecco lui si chiama Pietro e invece tu…”
“Miao”
aveva risposto la mamma venendo in soccorso allo sguardo interrogativo
che mi lanciava il piccolo gatto, e io avevo risposto:
“Ah” e per il resto dei palleggi non avevo avuto il coraggio di chiamare
il bambino “Miao”, perché temevo di non aver capito bene, forse aveva detto “Ao”,
certo che anche “Ao”, e allora avevo continuato a chiamarlo “Bambino”,
supplendo a questa decisione linguistica interpretabile come freddezza con una
serie quasi eccessiva di complimenti riferiti a Miao (ma anche a Pietro) ogni
volta che questi due si passavano il pallone:
“Hai visto che bravo il bambino che te l’ha passata?” “Bravo Pietro!”
Poi Miao era caduto e si era sporcato le mani di sabbia, la madre
aveva detto Andiamo alla fontanella, Pietro aveva detto dispiaciuto Dove vanno?
Io gli avevo risposto Vanno alla fontanella.
Non erano più tornati, così Pietro aveva inforcato la bicicletta Strider e avevamo percorso la pista
ciclabile che dal parco portava più o meno a casa nostra, erano le 19 quindi
ora di cena, varcata la soglia avevo messo su l’acqua a scaldare, gettato gli spätzle nel trasparente bollente, grattato il
parmigiano sopra dopo aver scolato e acceso la radio, non prima di aver
soffiato sul piatto del figlio prima che si scottasse la lingua. Prima intorno,
poi in centro. A due anni e mezzo lo sapeva ormai anche Pietro come bisognava
comportarsi con le pappe che scottavano quindi tutto era andato per il verso
giusto, Miao, mentre il radiocronista diceva Buffon (e Pietro rideva) diceva
Pirlo (e Pietro rideva) diceva Balotelli (e Pietro rideva). Non rideva invece
quasi nessuno a Milano, perché la Nazionale perdeva uno a zero dal
quarantaquattresimo del primo tempo a causa della rete di testa subita da Bryan
Ruiz, e mostrava sul terreno di gioco la stessa reazione di una trota pescata e
lasciata a finir di vivere sul prato vicino a un lago di montagna, senza nessun
pescatore moderno ed ecologico che si decidesse a rigettarla in acqua per
provare a pareggiare. In tutto il secondo tempo infatti l’Italia riusciva ad
impensierire la Costa Rica solo con un tiro debole di Cassano, con una botta di
Darmian che Navas deviava sopra la traversa e con una punizione di Pirlo
respinta di pugni dall’estremo difensore costaricano. Fine della
programmazione, non prima di aver rischiato il secondo goal con un contropiede
del neo entrato Urena fermato casualmente da un non deambulante Chiellini, per
tutta la partita preoccupante sosia dell’attore statunitense Peter Boyle,
splendido interprete del Frankenstein
Junior di Mel Brooks. Pietro beveva l’ultimo sorso dalla borraccia del
papino e pensavamo di concludere il venerdì con una breve seduta defaticante in
corridoio: qualche azione dalla porta d’ingresso a quella dello sgabuzzino, un
paio di tuffi sul pavimento al grido di “Parata Buffon!” per abbrancare il
pallone. Poi scendeva il buio e Pietro s’addormentava, io leggevo altre pagine
del bello proprio perché inadeguato giro sentimentale in bicicletta di Antonio
Pascale e immaginavo Zdenek Zeman affermare che la Costa Rica doveva uscire
dalle farmacie, me stesso recriminare che giocando all’una a Recife si sarebbe
dovuta pretendere almeno l’aria condizionata in campo, Cavani e Suarez sfregarsi
le mani al pensiero di come avrebbero fatto a pezzi la difesa azzurra nella
partita decisiva di martedì prossimo a Natal, quando a noi sarà sufficiente non
perdere per passare il girone come seconda, mentre l’Uruguay invece sarà
costretto a vincere senza troppi ragionamenti, quindi.
mercoledì 18 giugno 2014
Maracanazo: Spagna-Cile. Annie Hall, Vargas e Aranguiz
Milano – In una famosa scena di Annie Hall, Alvy Singer non si sente
bene poche ore prima di un appuntamento televisivo in diretta al quale dovrebbe
partecipare consegnando un premio. Ha lo stomaco rovesciato fin dal mattino.
Allora torna a casa, e mentre sullo sfondo Diane Keaton discute telefonicamente
con gli organizzatori della trasmissione, si sdraia sul letto e ascolta le
parole del medico giunto a visitarlo:
“Perché non prova a mandar giù un po’ di questo? E’
solo pollo lesso.”
“No, non posso mangiarlo, ho la nausea. Se potesse
darmi qualcosa per tirarmi su perché sa, tra due ore devo andare a Burbank a
consegnare un premio a uno show televisivo…”
“Per quello che posso dire io lei non ha niente:
insomma non ha febbre, neanche sintomi di qualcosa di grave, non ha mangiato né
insaccati né frutti di mare…”
Il dialogo tra malato e dottore è interrotto da
Diane Keaton che ha finito la telefonata:
“Alvy, era la Tv, hanno detto che è tutto a posto,
hanno chi ti sostituisce e possono fare senza di te.”
“Gesù, allora non devo andare alla televisione?”
La Keaton e il medico si mettono quindi a parlare
tra loro cercando di capire cosa possa avere Alvyn, interrotti da quest’ultimo
che intanto ha provato ad assaggiare il pollo lesso, chiede al dottore di
passargli il sale, lo sparge sul piatto e dichiara:
“Non è mica male questo polletto.”
Ecco, più o meno è così che talvolta mi sento
quando devo andare a presentare un mio romanzo in una libreria, non sempre a
dire il vero, mi sentivo così lunedì ad esempio quando viaggiavo seduto scomodo
sopra un vecchio treno regionale in direzione Pavia, anche se a dire il vero
l’appetito non mi era mancato e la nausea non esisteva. Tuttavia una certa
pressione negativa sì, risultante della consapevole inutilità di essere
obbligati a spiegare quel che si è già scritto, alla mia timidezza, comunque spazzata
via questa nuvola nera dalla calma non mortale solo perché temporanea della
città pavese, da una coppa crema e stracciatella presa in una gelateria ferma
agli anni cinquanta, in seguito dalle prime riuscite battute verbali alla
Libreria Il Delfino nella circostanza piena di persone venute ad ascoltare non
si sa perché me e Antonio Gurrado, autori Ediciclo ma di stampo calcistico.
Martedì invece nessuna sensazione opprimente, un buonumore anzi consistente, il
caos tribale in movimento di corso Buenos Aires a Milano incapace di turbarmi
più di tanto, eppure l’impatto con un’altra libreria questa volta con poche
persone presenti, le prime battute poco indovinate e balbettate, il Belgio che
vince a fatica sull’Algeria per due a uno (ma non è di questa partita che
voglio scrivere), dopo la presentazione per fortuna un piacevole prosecco in
compagnia di Antonio, Gino, Sergio e Silvano. Poi la cena al ristorante pugliese, le bistecche di cavallo e Pippo Baudo, Il Brasile che non mangerà il
panettone, il portiere del Messico un po’ Garella un po’ Caparezza (ma non è di
questa partita che voglio scrivere), un turno lavorativo che mi porta a
mercoledì pomeriggio pensando a lunedì-martedì e al polletto che per Alvy
Singer prima non era buono e poi invece sì, a Paolo di Paolo che senza conoscermi
mi ha invitato il prossimo ventinove luglio a parlare del mio romanzo a
Civitanova Marche durante il Futura Festival, a Mia Farrow che ho sempre
trovato più attraente di Diane Keaton, ecco è di Spagna-Cile che volevo
scrivere. Della Roja che incontra l’altra Roja, del pubblico del Maracana che
canta tutte le sei strofe dell’inno cileno ma non può fare altrettanto con
quello spagnolo, perché senza parole, della nazionale di Arturo Vidal che per
festeggiare questa supremazia canora vince due a zero con reti di Vargas e
Aranguiz. La Spagna detentrice del titolo esce dal Mondiale e stavolta non
troverà nessuno a consegnarle il premio in diretta televisiva, nemmeno il
cagionevole Alvy Singer.
martedì 17 giugno 2014
Maracanazo: Germania-Portogallo. Bianciardi e Mastronardi, il nuovo sindaco di Pavia in bicicletta
Pavia - Tutto sommato io darei ragione ad
Antonio, a Vigevano devono smetterla di non ammettere che Lucio Mastronardi si
è buttato nel fiume perché non ce la faceva più, a vivere generalmente, a
vivere a Vigevano nel particolare. Il
calzolaio di Vigevano, Il maestro di
Vigevano, Il meridionale di Vigevano.
Vigevano come una forma d'ossessione, dicevo ad Antonio, c'era quel brano
dentro A casa tua ridono nel quale
Mastronardi raccontava di quel tizio che andava a buttarsi nel fiume, anticipo
letterario di ciò che sarebbe successo, in un racconto di Beppe Fenoglio invece
era un figlio di nove anni a salvare il padre contadino dalla soluzione del
gorgo inseguendolo per i campi, lo recitava anche Giovanni Lindo Ferretti in
una finta canzone, in ogni caso a scanso di equivoci secondo me e Antonio era
meglio abitare in una città senza fiume. Nonostante questo avevamo deciso di organizzare
una presentazione dei nostri due nuovi romanzi sportivi (Il fuorigioco sta antipatico ai bambini, Ho visto Maradona) alla Libreria Il Delfino di Pavia, pur
consapevoli della coincidenza tra l’orario dell'appuntamento letterario e la programmazione
televisiva anche Rai dell'incontro mondiale Germania-Portogallo, valido per il primo
turno del gruppo G. Prima un gelato poi un aperitivo, parliamo del nuovo
sindaco a sorpresa ex professore di liceo catapultato al governo della città,
ed ecco che il sindaco appare stanco e pedalante lungo una via in leggera ma
lunga salita del centro, il suo volto è chiuso e cupo nello sforzo ciclistico,
pare che le sopracciglia giungano fino alle labbra: scoperta del gravoso
compito? Senso d'inadeguatezza? Rimpianto per la professione d'insegnante? Da
che parte è il fiume? Non ci diamo per vinti e visto che è ancora presto con
Antonio visitiamo collegi, chiese e biblioteche, quanti collegi a Pavia, dentro
statue quadri e tante ragazze, a Pavia ci sono più ragazze che donne, in
libreria più uomini che femmine ma anche queste (eroiche) non mancano. Diciamo
quello che dobbiamo dire sul fuorigioco e su Maradona, sulla Democrazia
Cristiana e su Giulio Andreotti, sul valore umano dei vinti e su quello dei
vincitori, al termine della presentazione tuttavia qualche spettatore alza la
voce, gli abbiamo fatto perdere la Germania che alla fine del primo tempo ha già
segnato tre volte. Finirà quattro a zero, con tripletta di Thomas Muller (il
primo su rigore, il secondo con un tiro rapido da dentro l’area, il terzo di
ribattuta a una corta respinta del portiere portoghese) e gol di testa sugli
sviluppi di un calcio d’angolo del difensore pensante Mats Hummels. Riusciamo
comunque a fuggire dagli assalitori e a metterci in salvo in un'ottima pizzeria
che regge il sole di fronte a un duomo fatto di mattoni. Un uomo ubriaco e
abbronzato, dalla grande pancia per l’occasione nuda e sbucante da una camicia
allacciata solo al primo bottone sotto il colletto, ci chiede trenta centesimi perché
ha provato con il bancomat all’Unicredit ma non funziona. Lui è correntista
dell’Unicredit, non se lo spiega. Poteva in ogni caso osare di più con la
richiesta, penso, non li avremmo avuti comunque perché a breve potremmo essere
disoccupati pure noi. Si libera una tavolo all’aperto e parliamo di Lucio Mastronardi,
parliamo di Luciano Bianciardi, di quel passaggio televisivo di fine anni sessanta
che li aveva visti insieme chiacchierare di letteratura a bordo di un tram
milanese per promuovere un’iniziativa culturale, nella circostanza Bianciardi era meno disperato di Mastronardi. Non sarebbe male come ipotesi per il futuro
scrivere due romanzi capaci di tirar fuori la sofferenza più preziosa e utile
che abbiamo, farli iniziare con la frase "Tutto sommato io darei ragione a…"
e terminare con "Poi il sonno è già arrivato e per sei ore io non ci sono
più". Tanto chi vuoi che se accorga, anzi.
domenica 15 giugno 2014
Maracanazo: Inghilterra-Italia. Al Dio degli inglesi, non credere mai
Chiavari – Non faccio in tempo a tornare a Milano che il verbalizzante S.G., matricola xxxx, in servizio presso l’Ufficio Varchi della Polizia Locale in data 5/5/2014, dalla quale decorrono i termini di notifica del presente verbale, ha accertato che il conducente del veicolo targato xxxxxxx (autovettura) in data 20/3/2014 alle ore 22.28 in Milano, CAV DEL GHISALLO, TRATTO SOVRASTANTE VIALE CERTOSA in direzione di LC CENTRO CITTA’, ha commesso le seguenti violazioni: DOPO LE ORE 22 E PRIMA DELLE ORE 7, SUPERAVA IL LIMITE MASSIMO DI VELOCITA’ DI NON OLTRE 10KM/H. VELOCITA’ EFFETTIVA 79, CONSENTITA 70 KM/H. Euro 65,67. Grazie. Ripongo con delicatezza la multa sulla scrivania, tanto sono passati i primi cinque giorni utili a pagare meno (perché?), e rammento la sorprendente bellezza di Chiavari che ho salutato per continuare il mio lavoro d’inviato ai Mondiali brasiliani appena cominciati dalla mia base milanese. Ho ancora nello zaino Tutto quel che è la vita, romanzo di James Salter che leggevo in spiaggia quando non ero impegnato a costruire laghi, fiumi e condomini di sabbia con Pietro (il futuro è nel mattone). Ma il tempo a disposizione per la cultura era poco, c’erano da tirar su palazzi e quartieri con paletta e secchiello, mi restava però in mente la storia di quell’editore che si occupava di alta letteratura solo per necessità, che teneva incorniciata su una parete dell’ufficio la lettera di un collega e amico, editor più anziano di lui, al quale era stato chiesto di leggere e valutare un manoscritto: “Si tratta di un libro molto banale, con personaggi privi di spessore descritti in uno stile che fa venire i nervi. La storia d’amore è squallida è di scarso interesse, e chi legge, di fatto, la trova respingente. All’immaginazione rimangono soltanto le oscenità. Un romanzo totalmente privo di valore.” Aveva venduto duecentomila copie (nel secondo dopoguerra) e ne stavano facendo un film. Comunque a Milano rimpiangevo Chiavari, i portici le librerie le panetterie i negozi di calzature, quanti negozi che vendono scarpe a Chiavari, tanti sandali, che belle le ragazze che indossano i sandali Birkenstock miei preferiti, trovare un modo per trasferirmi a Chiavari. Stare alzati fino probabilmente alle due di notte per guardare Inghilterra-Italia è una cosa che fa parte del duro mestiere d’inviato in contratto di solidarietà, abbasso le zanzariere e arrivo al fischio d’inizio di mezzanotte già vittorioso perché sono riuscito a resistere mentalmente vivo all’introduzione Rai alla partita, è incredibile quello che riescono ad affermare presunti giornalisti, vecchi campioni o più frequentemente appena buoni giocatori, opinionisti che tifano come scimmiette invece che fare normale informazione. L’apocalisse è quello che c’è già. Non ci sono dubbi che l’Italia trionferà, l’Inghilterra l’allena Roy Hodgson anche se gli Azzurri schierano titolare Paletta. Fra le due condizioni non sufficienti sarà la prima a vederci sorridere, e infatti al trentacinquesimo battiamo un corner all’indietro, Pirlo sposta l’equilibrio difensivo inglese con un velo fondamentale per consentire a Marchisio di stoppare e calciare rasoterra angolato dai venti metri: 1-0. Il tempo di abbracciarci e Rooney in contropiede crossa alla perfezione da sinistra pescando il veloce Sturridge che mette in rete al volo, osservato con pigro distacco dalla difesa azzurra. Dopo l’esultanza sbuca una barella, il telecronista afferma che forse Sturridge si è infortunato nell’esultanza, il commentatore tecnico per modo di dire conferma, poi veniamo a sapere che lo sdraiato è invece il fisioterapista di Gerrard e compagni. Bisogna approfittarne. Jagielka salva sulla linea un pallonetto di Balotelli che aveva scavalcato Hart e Candreva centra il palo a portiere inglese battuto, fine primo tempo. Sotto casa un gruppo di adolescenti inganna l’attesa suonando e cantando a squarciagola le prime stantie canzoni di Lucio Battisti, non mi pare il caso e resto concentrato, perché di Battisti la maggioranza predilige bionde trecce e occhi azzurri? Ma cantate Il nostro caro angelo, cantate Anima latina, per favore. Al cinquantesimo Balotelli porta l’Italia sul 2 a 1 appoggiando di testa una determinante parabola mancina di Candreva dalla destra, l’inaffidabile Paletta rischia un penalty colpendo d’anca Gerrard in area di rigore, infine al novantesimo Pirlo calcia una punizione cambiante direzione in cielo che si stampa sulla traversa a portiere inglese battuto. E’ finita: l’Italia vince DOPO LE ORE 22 E PRIMA DELLE ORE 7, gli euro da pagare sono 65,67. Mi affaccio alla finestra notturna del mio appartamento da inviato ritornato dal mare e grido agli adolescenti felici con le loro chitarre spente di alzare la voce e di cantare, abbiamo visto una buona Italia: al Dio degli inglesi, non bisogna credere mai.
venerdì 13 giugno 2014
Maracanazo: Brasile-Croazia – Il cattolicesimo calcistico e l’arbitro cornuto
Lavagna – “Ma sì, il tatticamente
provvidenziale infortunio di Montolivo ci regalerà un'Italia quasi zemaniana,
moderata dal cattolicesimo calcistico più conservativo e saggio di Prandelli.
Pirlo e Verratti insieme possono fare meraviglie, e davanti io farei giocare
Immobile al posto di Balotelli”. Pensavo questo mentre passeggiavo lungo via
Roma a Lavagna che poi non è una via così lunga ma certamente la principale di
questo comune di 12.510 abitanti in provincia di Genova, Liguria. Camminavo
alle sei e mezza di mattina pur essendo in ferie, vai a sapere gli scherzi
della mente e del destino, gli unici aperti erano l’edicolante, il
fruttivendolo il panettiere, quindi per prima cosa comperavo il giornale e per
seconda una brioche, ma niente frutta. Dopo la brioche aspettavo che aprisse il
bar che faceva il cappuccio buono ma non altrettanto le brioches (per questo l’avevo
presa dal panettiere) quindi mi mettevo a sfogliare i due quotidiani che avevo
deciso di acquistare: gli inserti relativi al Mondiale avevano la meglio sui
miei pensieri, perché svegliarsi così presto in vacanza? Perché è bello,
avrebbe detto mio figlio Pietro bravo a giustificare le cose che non hanno
razionalità, come quando ti punta con la bicicletta senza pedali Strider ottima per imparare a fare il
ciclista quando hai due anni e ti colpisce improvviso le caviglie, gli stinchi,
Tu gli dici “Basta Pietro! Fa male” e lui “Ma è bello!” e tu “Ma fa male” e lui
“Ma è bello”. Fa male, ma è bello. E’ bello svegliarsi alle sei del mattino a
Lavagna, il giornale di solito rosa oggi è azzurro e costa trenta centesimi di
meno, fatelo sempre azzurro allora, è l’ultimo giorno di vacanza dopo il cappuccio vado sul lungomare,
incontro solo anziani alle sette del mattino, ma in prevalenza nessuno, Grazie Lavagna! Insieme abbiamo dato alla
città dieci anni di buona amministrazione. Al nuovo Sindaco e alla sua squadra
i migliori auguri di buon lavoro. Dopo il cartello di ringraziamenti
elettorali ricordo che viene sera e iniziano i Campionato del mondo di calcio,
la decisione del quotidiano un tempo rosa e adesso azzurro d’inviarmi in
Liguria per seguire da vicino il Mondiale brasiliano inizialmente mi aveva
sorpreso, poi ho capito le loro ragioni. Ho un figlio talmente bravo che anche
con trentotto e mezzo di febbre si addormenta quattro minuti prima che cominci
la partita inaugurale, tutto lo stadio del Corinthians è colorato di giallo ma
è la Croazia a passare meritatamente in vantaggio con autorete di Marcelo su
cross dalla sinistra di Olic leggermente deviato da Jelavic. Poi il Brasile
reagisce, ma i balcanici a quadrettoni rossi e bianchi resistono facendo
palleggiare i centrocampisti dai piedi buoni che si ritrovano: Rakitic, Kovacic
e soprattutto Luka Modric, il migliore nonostante l’inaccettabile decisione di
abbandonare i capelli lunghi (un po’ Cruijff, un po’ Pirlo) per un taglio più
militare. Tuttavia la Seleção arriva al pari con un
tiretto angolato da fuori area di Neymar, Pletikosa cade giù lento come un
sacco di patate, e il primo tempo si conclude senza avvisare gli spettatori che
il secondo sarà meno affascinante e più discutibile del già trascorso. Ci
penserà infatti l’arbitro giapponese Nishimura a decidere la partita con un
rigore inventato assegnato ai padroni di casa a venti minuti dal termine per misterioso
svenimento di Fred in area di rigore. Neymar tirerà malino ma i guanti di
Pletikosa schiaffeggeranno in porta. Da questo momento in pochi continueranno a
seguire lo spettacolo con la medesima fiducia, alla Croazia verrà pure
annullato un goal per dubbia carica di Olic su Julio Cesar, infine al
novantunesimo in contropiede il magrolino Oscar trafiggerà di punta sul primo
palo Pletikosa, nella circostanza apparentemente sorpreso del suo stato di
portiere: Brasile 3, Croazia 1. Farà male, e non sarà nemmeno bello. La notte lungo
le strade di Lavagna scoppia il caos, qualcuno si chiede ad alta voce se le
partite del Brasile le arbitrerà sempre questo Nishimura, altri gridano
compatti “No al Blatter moderno!” Io schivo le proteste di piazza, gli incidenti
tra manifestanti e polizia e torno a casa lentamente un passo dopo l’altro
contro il vento dell’ultima sera al mare.
giovedì 12 giugno 2014
Ma come inizia "Il fuorigioco sta antipatico ai bambini"?
Ecco, inizia così:
Thomas Bernhard scrisse Gelo in un anno, dopo che per cinque anni non aveva scritto nemmeno una riga, anche se è più corretto affermare che Thomas Bernhard scrisse Gelo in un anno e qualche mese, perché una volta che la casa editrice Insel ebbe accettato il manoscritto, Thomas Bernhard si accorse che non andava bene nulla, che l'opera era incompiuta e cominciò allora a riscrivere il libro capitolo per capitolo ogni mattino, dalle cinque a mezzogiorno, in una pensione tra le più economiche di Francoforte.
martedì 10 giugno 2014
Maracanazo, il diario dei Mondiali
lunedì 2 giugno 2014
Il diario del Giro. Ventunesima tappa: Gemona del Friuli – Trieste (172 Km). Andando per frasche con Bazlen e Svevo
Trieste – Pensavo quasi di non
scrivere nulla su questa ultima tappa, in fondo il novantasettesimo Giro
d’Italia è finito ieri mentre sul Monte Zoncolan aspettavo Juan Rodolfo Wilcock
in compagnia di Alfred Attendu, suo sublime gregario autore dell’opera divenuta
un classico “Il fastidio dell’intelligenza”. Ma poi mi sono detto: sarebbe
brutto fare venti e non fare ventuno, potrei essere colto da un certo non nuovo
senso d’incompiutezza, mi resterebbe qualcosa da riparare. Perché avevo cominciato
a scrivere questo diario? Come Vasco Pratolini per cercare di risolvere dei
disturbi leggeri, ma noiosi? Andare dietro al Giro era forse la medicina più
sicura? A Trieste ero già stato più di una volta, l’ultima nel maggio del 2012
per guardare Cagliari-Juventus e per incontrare Emilio, protagonista di Senilità. Allora aveva trentacinque
primavere e aveva dato alle stampe qualche anno prima un romanzo lodatissimo dalla stampa cittadina però ingiallito
nei magazzini dei librai e utile solo a trasformarlo in un letterato rispettato
nel piccolo bilancio artistico della città. Emilio in quel tempo innamorato di
tale Angiolina, bionda dagli occhi azzurri grandi, alta e forte, snella e
flessuosa, con il volto illuminato dalla vita, a sentir lui. Nella
difficile condizione del confidente che sapeva quello che Trieste urlava di
tale donnina (una zoccoletta, che se la faceva un po’ con tutti, che appendeva
alle pareti della camera le fotografie dei suoi svariati uomini) ma che non
trovava il modo meno indolore per comunicarlo all’amico caro, ero riuscito a
convincere Emilio a rimandare di qualche ora l’appuntamento con la bionda,
per accompagnarmi allo stadio. Trovata un’osmizza aperta, avevamo litigato con
l’oste pancione che ci aveva negato un bicchiere di vino tre ore e cinque
minuti prima dell’inizio della partita, quando la Polizia municipale di Trieste
aveva emesso un’ordinanza che vietava la vendita di bevande alcoliche ma da tre
ore prima, e intorno negli altri tavoli tutti andavano per frasche.*
Costretti a una nevrotica resa bagnata di coca-cola, avevamo chiacchierato dello
scrittore Roberto Bazlen che durante la sua vita non aveva pubblicato nulla e
aveva scritto esclusivamente sequenze di note senza testo, leggibili tutte come
appunti per un’immaginaria scienza dell’autotrasformazione. Il nulla raggiunto troppo presto. Ciò che non vuole morire deve crepare. Italo
Svevo era uno scrittore della domenica, che in settimana vendeva vernici
sottomarine. Le ho usate per scrivere sulla strada W il Giro! usando soprattutto il colore rosa. Ho fatto una
fotografia con il telefono e l’ho mandata al mio direttore di giornale, ma sì,
quello che non legge libri. Anzi quello che il suo libro preferito è Il gabbiano di Jonathan Livingston. Ho
aggiunto come didascalia che il colombiano Nairo Quintana ha vinto la
novantasettesima edizione del Giro d’Italia davanti al connazionale Rigoberto Uran
e al sardo Fabio Aru. L’ultima tappa invece se l’è aggiudicata in volata lo
sloveno Luka Mezgec davanti al sempre secondo e una volta terzo Giacomo Nizzolo.
Vrranno tempi più fortunati. Roberto Bazlen, nato a Trieste nel 1902 da padre
tedesco e madre italiana, fu il primo a cogliere il genio che sino allora
nessuno aveva riconosciuto nei romanzi di Italo Svevo. Ne scrisse con entusiasmo
a Montale.
*A Trieste la frase “andar per frasche” significa
andare a bere il vino nelle osmize
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