lunedì 3 novembre 2014

A passeggio con il campionato (10)


Gussago – Esistono ancora, sia pure in forte minoranza, italiani intelligenti, scriveva Guido Ceronetti a proposito del loro rapporto attuale e antico coi crisantemi in particolare quando si avvicina la giornata istituzionale consacrata alla memoria dei defunti. Lo leggevo dopo aver mangiato in Franciacorta, Guido Ceronetti, spezzatino e polenta, un bicchiere di vino rosso, ma ancora sufficientemente lucido per apprezzare l’articolo e consolarmi in merito all’acquisto del quotidiano che al mattino avevo pensato di prendere in edicola, ero in vena di follie dopo essermi svegliato presto di fronte a un sabato di non lavoro. Me n’ero pentito quasi subito di aver pensato al giornale come momento di lettura, ne avevo di libri in attesa dentro lo zaino o sulla scrivania, ma poi avevo letto dei crisantemi, degli italiani, l’euro e quaranta non era stato buttato totalmente nel tombino, passeggiando in paese una ragazza bionda in mutande cantava qualcosa dentro uno schermo televisivo sbucato dalla vetrina di un bar, le sue movenze erano comiche per convinzione e interpretazione, per capire qualcosa di più ero entrato e avevo ordinato un caffè, la ragazza bionda sotto le mutande nere vestiva solo con delle calze sempre nere che le arrivavano oltre la metà superiore delle cosce, non era certamente il mio tipo, si appoggiava allo stipite di una portafinestra e in sofferenza recitata annunciava che amava sbagliare, amava farsi del mare, ogni pezzo di pelle…
Un’altra canzone imbarazzante pronta a scalare le vette delle classifiche, non esistevano italiani intelligenti, un pomeriggio di vent’anni fa ero uscito di casa per comprare il cd dei Nirvana – Unplugged in New York, un pomeriggio di vent’anni fa il 1 novembre del 1994, ricordavo alla ragazza in mutande che adesso si lasciava cadere all’indietro sulla parete azzurra usando come freno il sedere, sentiva il peso l’aria, voleva che qualcuno non la facesse respirare, pregava che qualcuno la lasciasse fare, ogni amore sbagliato aveva il suo costo, quel che era stato lei lo teneva nascosto…
Roba da matti, che capolavoro l’Unplugged in New York, Kurt Cobain si era presentato alla registrazione in astinenza cercando di spiegare che aveva bisogno di “pollo fritto”, ma nessuna farmacia aveva il Valium e aveva dovuto far da solo organizzando una “consegna” in uno dei rari momenti in cui non vomitava, aveva paura di non reggere e di andare nel panico, temeva che il pubblico non l’applaudisse. Fuori dal bar un sindacalista mostruoso gridava che bisognava finirla di scaricare sui servitori dello Stato le responsabilità dei singoli, di chi abusava di alcol e droghe, di chi viveva al limite della legalità, di chi disprezzava la propria salute, di chi viveva una vita dissoluta. Ne avevo abbastanza e pensavo a Tom Kromer preso a bastonate dalla polizia perché vagabondo nell’America della Grande Depressione, picchiato il necessario per scrivere un romanzo Tom, l’unico della sua vita, dedicato a Jolene che quella volta aveva chiuso il gas. Sono tornato a casa e il Napoli vinceva due a zero sulla Roma, Higuain e Callejon, Waiting for Nothing tradotto con Un pasto caldo e un buco per la notte era tra i volumi che mi aspettavano impilati sulla scrivania, abbandonato da una paio di settimane a pagina cinquanta annegato fra altri libri che non ho tempo di finire. L’ho incartato in una busta regalo, sono uscito di nuovo in strada alla ricerca di una buca per le lettere a Gussago e l’ho spedito senza crisantemo alla memoria di Stefano Cucchi.