martedì 25 novembre 2014

A passeggio con il campionato (12)


Milano – Un derby così brutto (pieno di ripetuti rimpalli, grossolani errori tecnici) che mi era venuto il cafard e avevo pensato a Emil Cioran raggiunto nel 1937 dalla telefonata dell’editore che aveva deciso di non pubblicare Lacrime e santi.
“Ho fatto la mia fortuna con l’aiuto di Dio, non posso pubblicare il suo libro.”
“Ma è un libro profondamente religioso.”
“Sarà, comunque non ne voglio sapere.”
“Io devo lasciare il paese, devo andare a Parigi per un mese, non posso partire in queste condizioni.”
“Non ne dubito, ma il suo libro non lo voglio.”
Così Cioran era andato in un caffè di Braşov disperato, piuttosto affezionato a Lacrime e santi perché frutto di una profonda e insonne crisi religiosa si chiedeva cosa poter fare, nel caffè aveva incontrato un uomo che conosceva poco il quale vedendolo particolarmente abbattuto gli aveva chiesto il motivo di tanta tristezza. Ascoltato il lamento dello scrittore, l’uomo aveva concluso:
“Guardi, di professione io faccio il tipografo, anzi lo stampatore. Il suo libro lo pubblico io.”
Allora Cioran aveva lasciato la Romania maggiormente sollevato, Lacrime e santi era uscito in sua assenza e aveva avuto una pessima accoglienza, i suoi genitori si erano trovati in una situazione molto delicata. Sua madre gli aveva scritto a Parigi:
“Io capisco il tuo libro e tutto quanto, ma non avresti dovuto pubblicarlo prima della nostra morte, hai messo in difficoltà tuo padre che è un prete e io che sono presidente delle donne ortodosse, in città sono derisa.” Eppure, essendo stato pubblicato senza editore e non avendo distribuzione, probabilmente la maggioranza delle copie era andata distrutta. Una cosa tipicamente balcanica.

Quindi sono tornato all’agghiacciante derby di Milano, ma il cafard non era per niente passato. Dopo il bel gol d’interno al volo di Jeremy Menez e il tiro strozzato dal limite angolato di Obi le due squadre cercavano impotenti di fabbricare sul campo qualcosa di simile al concetto di azione, con i soli risultati apprezzabili di un clamoroso errore sotto porta di Stephan El Shaarawy che riusciva, solo davanti al portiere, a scheggiare la parte alta della traversa, e di un incrocio dei pali inventato da Mauro Icardi con una intelligente, rallentata girata di destro su cross dalla destra. Milan-Inter terminava uno a uno, nonostante il nervoso e mistico tentativo al novantesimo di Pippo Inzaghi di spingere con il piede dall’area tecnica della panchina il pallone in rete, nella santa speranza che a cinquanta metri di distanza il noioso e poco utile Poli percepisse telepaticamente il corretto movimento da eseguire per centrare la porta. Impossibile, fuori. Alla sua prima, seconda volta da nuovo allenatore dell’Inter Roberto Mancini guadagnava neutro il tunnel degli spogliatoi in cappotto scuro, sciarpa annodata e pantaloni chiari. Il simpatico difensore del Milan Adil Rami dichiarava invece con onestà nelle interviste del dopo partita che lui le partite non le sapeva analizzare perché prima di giocare a calcio faceva il meccanico, e quando in Francia gli avevano comunicato che avrebbe fatto il calciatore non ci aveva creduto. Al giudizio finale, verranno pesate soltanto le lacrime.